Sul filo della memoria LA CITTA' NEL DOPOGUERRA

Sul filo della memoria LA CITTA' NEL DOPOGUERRA Sul filo della memoria LA CITTA' NEL DOPOGUERRA «Eravamo padroni del mondo e inventavamo mille giochi...» SONO nata a Torino nel 1944 - scrive Germana Maggiora di Alpignano figlia di astigiani e, benché sia di qualche anno più giovane del signor Ferraris, ho letto con piacere i ricordi rivangati con nostalgia dal protagonista dell'articolo pubblicato qualche settimana fa, proprio perché molti di quei ricordi sono anche i miei. Si era nell'immediato dopoguerra pieni di speranze, ma con pochissimi quattrini; noi bambini, però, non ci rendevamo conto dei salti mortali fatti dai nostri genitori per mettere insieme il pranzo con la cena, anche se dal canto mio posso rammentare il famoso pezzo di bollito comprato la domenica (allora le macellerie erano aperte anche nei giorni festivi) rimaneggiato ed allungato con uova, verdura e pane pesto per farne dei «friciulin», in modo che quel poco di carne durasse praticamente tutta la settimana. Ed era festa grande quando, con treno e corriere, si poteva andare a Refrancore dai parenti dei miei i quali, essendo contadini, potevano disporre di pollame e conigli. In quelle occasioni io, che avevo sempre una fame feroce, mi abbuffavo letteralmente. Alla partenza poi, mia zia, che mi voleva un bene dell'anima, forniva mia madre di uova, frutta, verdura (e non mancava mai un coniglio), tutto per me che ero la «masnà». Allora per qualche giorno la tavola era ricca e ci sentivamo dei veri signori. Mio padre era sarto, ma aveva dovuto giocoforza trovarsi un impiego che gli rendesse un fisso tutti i mesi, così è diventato tramviere conservando però alcuni dei suoi affezionati clienti per i quali, tra un turno e l'altro, cuciva le «nitide». Io, non appena in grado di tenere un ago in mano, sono stata messa a «sorgettare». Cercavo di sbrigarmi il più in fretta possibile, perché sentivo in strada 1 miei amici giocare e non vedevo l'ora di raggiungerli. Che ubriacatura di libertà quando la mamma mi dava il permesso di scendere in strada! Eravamo i padroni del mondo con tutto lo spazio possibile a disposizione e ci inventavamo mille giochi. Avevamo un'unica proibizione: quella di non andare a giocare nei campi vicini alla ferrovia perché, essendo quest'ultima stata bombardata a più riprese nel corso della guerra, c'era il pericolo reale di in- correre in qualche bomba inesplosa e, dopo l'orrenda morte di un bambino saltato in aria, nessuno di noi si sentiva di disubbidire. Crescendo, i ricordi diventano di altra natura: ero brava a scuola per cui la maestra mi volle preparare per l'esame di ammissione alle medie. Fu così che cominciai a fre- quentare la «Giuseppe Giacosa» per andare alla quale dovevo prendere due tram siccome abitavo al Borgo Vittoria. Mi sentivo molto adulta a girare per la città da sola! In seconda media quasi tutte le mie compagne di classe portavano le calze di nylon, mentre io non potevo permettermele. Allora mi alzavo mezz'ora prima al mattino, così potevo evitare di prendere il secondo tram percorrendone il tratto a piedi, e risparmiare in questo modo 50 lire al giorno; a fine settimana avevo raggranellato i quattrini per comprarmi le famose calze di nylon che rompevo regolarmente dopo un paio di giorni. Avrei migliaia di altri aneddoti di vita vissuta, come del resto tutti quelli della mia generazione che, agli occhi di mia figlia, in primis e degli altri ragazzi della sua età, paiono giungere da un altro mondo, ma mi devo fermare altrimenti ne viene fuori un romanzo. Sono stata spinta a scriverne soprattutto per ribadire all'ultima parte della lettera del sig. Ferraris che conclude affermando che, forse, siamo noi adulti ad «uccidere» la fantasia dei bambini. Non sono così d'accordo perché, quale genitore o nonno avrebbe oggi l'ardire, soprattutto nelle grandi città, di lasciare liberi in strada i propri figli o nipoti? E' la società tutta che è cambiata per il bene e purtroppo anche per il male. Occorre guardarsi da una miriade di pericoli: automobili e motocicli che sfrecciano ininterrottamente, spacciatori di droga, che hanno il coraggio di piazzarsi davanti alle scuole elementari, siringhe infetie abbandonate nei giardini pubblici e chi più ne ha più ne metta. Ecco che i nostri figli o nipoti ce li dobbiamo tenere stretti con la speranza che non incappino mai in qualche losco figuro che possa far loro del male e allora abbiamo imparato a supplire alla mancanza di libertà fornendoli di tutti i giochi possibili inventati da altri, impedendo loro di sbrigliare la fantasia. Venditóre di eelali in piazza del Duomo in una lontana, silenziosa cslatc

Persone citate: Ferraris, Giuseppe Giacosa

Luoghi citati: Alpignano, Citta', Refrancore, Torino