E HUGO LIBERO' SHAKESPEARE DALLE CAMICIE DI FORZA di Gabriella Bosco
E HUGO LIBERO' SHAKESPEARE DALLE CAMICIE DI FORZA E HUGO LIBERO' SHAKESPEARE DALLE CAMICIE DI FORZA A descrizione della casa bianca sulla spiaggia, con i cespugli di calendula e a mo' di tende candidi lenzuoli alle finestre, in camere sommariamente ammobiliate dove il rumore del mare non cessava mai, è di quelle che restano impresse. E' la casa sull'Isola di Jersey, in cui trascorse il suo esilio E' la casa sull'Isola di Jersey, in cui trascorse il suo esilio Victor Hugo («Uno di quegli uomini che in certe circostanze sono di troppo nel proprio Paese... l'aver scritto era la causa dei suoi catenacci», dice di sé). L'immagine tersa dell'abitazione luminosa ma fredda («il metodismo fatto edificio», tale da far pensare «con una stretta al cuore alle vecchie baracche contadine francesi di legno, allegre e nere tra le vigne»), apre un libro cui il grande romantico là lavorò, e che sarebbe dovuto servire da poderosa ouverture per un'altrettanto possente traduzione delle opere di Shakespeare, intrapresa per impiegare al meglio il tempo del confino da uno dei figli di Hugo. Il saggio, che venne pubblicato nel 1864 a Bruxelles, esce ora per la prima volta in traduzio¬ ppne italiana, a cura di Francesco Muciatti {William Shakespeare), ed è una lettura tutta da godere, nel suo incedere maestoso per onde regolari che spesso s'increspano per poi tornare a un'imponenza tranquilla. L'Hugo che era stato, in altri anni, teorico rivoluzionario, si fa qui storico della letteratura. La vis polemica non è certo sminuita, il respiro in compenso si è fatto ampio. La retorica è solenne, ma i quadri che emergono, immagini spesso fulminee, valgono pienamente l'indubbio impegno che la lettura richiede. «Shakespeare senza guinzaglio», finalmente. Così Hugo definisce la traduzione che sta approntando il figlio, e l'espressione non deve sembrare troppo forte o viziata dalla benevolenza paterna. Basti pensare all'Otello, per non fare che un esempio, comunemente letto in Francia nel XVIII secolo. Il protagonista non era negro, per non choccare, ma solo scurito nel volto, la coloritura che il sole può dare. Nessun fazzoletto a svelare il tradimento, oggetto troppo intimo, ma un bigliettino, più consono. E per la conclusione, nessun soffocamento, volgare e inadeguato, bensì una bella pugnalata inferra sulla scena, degna della miglior tragedia classica. Non solo: il disinvolto traduttore, Ducis, di fronte al numero impressionante di svenimenti che la pugnalata provocava nel pubblico soprattutto femminile, aveva fornito un ulteriore finale a sorpresa, totalmente inventato, per l'Otello francese. Un lieto fine rassicurante e conveniente, in cui pace veniva fatta e tutti vivevano felici e virtuosi. Libertà era data al direttore della compagnia, o del teatro, di scegliere la conclusione che più gli garbava, o riteneva avrebbe soddisfatto gli spettatori paganti. «Otello è la notte, immensa figura fatale», scrive Hugo dopo aver urlato allo scempio e al sacrilegio, di fronte a qualsiasi addomesticamento. «Jago vicino a Otello è un precipizio spalancato... Queste incarnazioni dell'eclisse cospirano, una ruggendo, l'altra ghignando, il tragico strangolamento della luce. Otello è la notte e volendo uccidere volge al veleno, alla mazza, all'ascia, al coltello? No, al cuscino. Uccidere è addormentare... Desdemona, sposa dell'uomo Notte, muore soffocata dal cuscino che ha accolto il primo amplesso e accoglie l'ultimo respiro». Shakespeare liberato dalle camiciole di forza di certa modesta editoria che pur nel secolo dei Lumi aveva imperversato, è rivitalizzato da Hugo in un contesto gigante, che faccia onore alla sua genialità. Perché il lettore sappia chi sta per leggere, Hugo lo presenta circondato da coloro che sono suoi pari: Omero, Giobbe, Eschilo, Isaia, Ezechiele, Lucrezio, Giovenale, San Giovanni, San Paolo, Tacito, Dante, Rabelais, Cervantes (quest'ultimo morto, ricorda per inciso Hugo, lo stesso giorno di Shakespeare, il 23 aprile 1616). La nascita del dramma e il suo movimento attraverso la storia servono da sfondo al discorso critico su Shakespeare. Discorso il cui merito non si limita alla sostanziale correttezza e all'impostazione generale, ma va colto in alcune notevoli intuizioni interpretative. Ad esempio l'individuazione della storia nella storia, in termini moderni della mise en abime. «Una doppia azione che attraversa il dramma e lo riflette in piccolo», scrive Hugo. «Accanto alla tempesta atlantica c'è quella in un bicchier d'acqua. Amleto crea sotto di sé un altro Amleto: uccide Polonio, padre di Laerte, ed eccogli Laerte davanti esattamente nella stessa situazione che vede lui davanti a Claudio». Nessuno prima di Hugo aveva colto questa «particolarità». Un seme che sarebbe stato, criticamente parlando, assai fecondo. Gabriella Bosco WILLIAM SHAKESPEARE Victor Hugo Aktis editrice p. 330 L 35.000
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