MORIRE SOTTO IL TAMARINDO di Giovanni Bogliolo

MORIRE SOTTO IL TAMARINDO MORIRE SOTTO IL TAMARINDO // cantastorie di Chamoiseau SOLIBO MAGNIFIQUE Patrick Chamoiseau a cura di Yasmina Mélaouah Einaudi pp. 194, L 24.000 NA sera di carnevale, sotto un albero di tamarindo, un cantastorie martinicano muore nel bel mezzo di un'esibizione. La polizia locale, convinta che si tratti di un assassinio, sottopone a un brutale interrogatorio la piccola folla dei suoi ascoltatori che lì per lì, annebbiati dal ratafià, non si erano neppure accorti dell'improvviso trapasso e poi l'avevano attribuito a uno «strangolio della parola». Le indagini comunque non approdano a nulla e l'autopsia finisce per confermare la diagnosi popolare, stabilendo che si è trattato, sì, di strangolamento, ma prodottosi misteriosamente «dall'interno», senza che il collo della vittima presenti alcuna traccia di violenza. Questo, tradotto nella logica europea, è il soggetto di Solibo Magnifique e questo, con l'aggiunta di tut ti i necessari dettagli, è anche ciò che si può leggere nel verbale dell'ispettore capo Evariste Pilon che, per esser stato a lungo nella patria di Cartesio, si sforza di trovare una spiegazione logica alle cose, anche se sa bene che, nel suo paese «di zombi e spirituncoli vari, ima dose di irragionevole, sottilmente malefica, intorbida tutto». Ma quello che i compatrioti di Cartesio chiamano Patrick Chamoiseau e onorano come uno dei loro maggiori scrittori contemporanei, per i djobeurs del mercato di Fort-de-France e per gli sgangherati ascoltatori di Solibo si chiama Chambizié, Ti-Cham o, meglio ancora, uccello di Cham e, invece di dedicarsi come loro a battere su un tamburo, vendere sorbetti e frutta candita o fabbricare grattugie per manioca, fa il nuovo e improbabile mestiere del «tracciatore di parole», ossia cerca di catturare con gli strumenti inadeguati della scrittura il colore e il calore del loro parlato. E nelle sue pagine, la morte di Solibo diventa una fantasmagorica epopea e un'accorata elegia. Nel duplice, contemporaneo sforzo di emancipazione dall' oralità e dalla lingua del colonizzatore in cui tutte le letterature dei Paesi emergenti sembrano eternamente destinate a dibattersi, Chamoiseau ha infatti escogitato, con i suoi connazionali Jean Bernabé e Raphael Confiant, la felice soluzione della «creolità», ossia della piena e spavalda assunzione di una composita, caleidoscopica individualità etnica o culturale che è al tempo stesso europea, amerindia e africana, e, di conseguenza, l'adozione di una lingua che questo sincretismo esprima attraverso un'appropriazione inventiva del francese e un libero inserimento nella sua solida struttura di forme, suoni e costrutti del creolo e del francais-banane. Al mito della purezza si sostituisce così la pratica di una lingua mosaico; al miraggio di una universalità che nascondeva un progetto di normalizzazione, un recupero e una preservazione di tutte le diversità che con una parola macedonia i tre scrittori hanno chiamato «diversalità». E' una soluzione meno radicale di quella che il mauriciano Edouard Maunick ha sintetizzato nella formula «Vado a letto con la lingua francese per farle fare dei bastardi», ma altrettanto e, forse, più efficace. Almeno se si guarda a quello che è a tutt'oggi il conseguimento più alto di Chamoiseau, U romanzo Texaco. Solibo Magnifique, scritto quattro anni prima, non ne ha la perfezione strutturale e, malgrado il godibile parossismo céliniano di certe scene di movimento e il sapiente impasto linguistico che la traduttrice italiana riesce a restituire con straordinaria freschezza, sconta con esiti bozzettistici le sue ancora preponderanti intenzioni documentarie. Ne costituisce però la necessaria premessa. La morte di Solibo, quali ne siano state le cause accidentali, rappresenta la fine di un'epoca, quella della «memoria di bocca, della resistenza nella perifrasi del verbo», ed è probabile che quest'ultimo magnifico «maestro della parola», questo virtuoso del «discorso senza virgola», maturatane piena e amara consapevolezza, l'abbia deliberatamente cercata e simbolicamente orchestrata. Simbolico è di certo che ad essa, munito del suo taccuino e del suo registratore, abbia assistito il «tracciatore di parole» Chamoiseau: era necessario che ricevesse da lui le consegne, ma più necessario ancora era che sperimentasse, nel disperante tentativo di raccontarla, che, come gli ripeteva Solibo, «non si scrive mai il parlato, ma solo parole». Giovanni Bogliolo Lo scrittore marlinicajio e uno strangolamento misterioso: sul collo della vittima nessuna traccia di violenza Le sperimentazioni del letterato italiano scomparso: un elogio della struttura breve Mario Lunetta Patrick Chamoiseau SOLIBO MAGNIFIQUE Patrick Chamoiseau a cura di Yasmina Mélaouah Einaudi pp. 194, L 24.000