La donna che ha sfidato la Triade di Claudio Giacchino

La donna che ha sfidato la Triade CHINATOWN NEL CUORE DI TORINO La donna che ha sfidato la Triade Così Lj si è ribellata alla mafia cinese ■ NA corda di lenzuola anB flj nodate che si disfa, un ^QbF fagotto bruno di donna, nudo, che precipita con un grido sul marciapiede. La disperata fuga di Lj getta un cono di luce sul mare nero, sempre immobile, del pianeta Chinatown: quel pianeta che in ogni angolo di Torino s'annuncia attraverso le insegne di ottanta ristoranti. Dei cinesi sappiamo solo che qui sono quasi mille, che vivono in centro, a Vanchiglia e S. Salvano, che si chiamano tutti, o quasi, Hu, che questo nome nel cuore della città è diventato addirittura più comune dell'ipersabaudo Ferrerò. Sospettiamo che siano molti di più, che grazie alla fisionomia che ai nostri occhi li fa sembrare gemelli uno dell'altro vadano e vengano facendosi beffe dei controlli sull'immigrazione. Si sussurra che questo pianeta scuro è dominato dalla mafia, la famigerata Triade, che lo schiavismo è una realtà quotidiana, che i clandestini subentrati ad altri clandestini finiti chissà dove, e quando, vivono in condizioni disumane o subumane: ammassati in alloggi, costretti a lavorare (le donne) in scantinati alla macchina da cucire o (gli uomini) nei ristoranti gestiti dai connazionali. Dieci-quindici ore di fatica al giorno, per anni, in cambio di vitto e un tetto ben poco ospitale: i) prezzo del viaggio intrapreso per fuggire la miseria del paese natio. Tutto questo sappiamo, sospettiamo e sussurriamo sulla gente venuta dalla terra della seta. Inoltre, c'è il mistero dell'immortalità cinese, del fatto straordinario che nella taurinense Chinatown non si celebra mai un funerale: di tutte le comunità straniere, questa è l'unica dove non si muore mai. Per la verità, un cinese morto lo ricordiamo: crivellato di colpi di mitraglietta, nel febbraio del 1994. Perché, come riuscirono a scoprire gli inquirenti, non era in grado di pagare i 23 milioni del viaggio ed era stato accusato, a torto, del peccato peggiore per un cinese: aver cercato aiuto fuori dal suo mondo, essersi rivolto alla poli¬ zia. Adesso, dopo quattro anni in cui Chinatown non ha offerto appiglio alcuno alla curiosità della giustizia, un altro episodio di cronaca nera: l'evasione di Lj dall'appartamento-carcere in cui la mafia l'aveva segregata in attesa rinsavisse e si sottomettesse alla vita da schiava in una delle tante cantine-sartoria in cui le donne sono costrette a lavorare come bestie chine su telai e macchine da cucire antiquarissimi, roba da Anni Cinquanta. Un'esistenza tremenda, subita da chissà quanti clandestini con rassegnazione: pare che sui cinesi emigrati in Occidente la Triade regni sovrana, che la sua dittatura spietata sia ormai una regola di vita. Evidentemente, la disperata, coraggiosa Lj è un'eccezione: ha lottato contro il suo destino, non ha accettato di essere fuggita da un miseria per finirne in un'altra forse ancora peggiore, s'è rifiutata di diventare una schiava da cucito. Così, l'avevano imprigionata nuda credendo che in tal modo le sarebbe stata impossibile l'evasione. Invece... Invece il mare nero, sempre immobile del pianeta Chinatown s'è adesso increspato. Chissà se Lj, oltre al gesto, donerà alla sua ribellione anche le parole e racconterà i misteri, le ferocie che si annidano tra i quasi mille cinesi di Torino. Claudio Giacchino

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