«Faccio poesia, non politica»
«Faccio poesia, non politica» «Faccio poesia, non politica» Makhmalbaf: «Non temo l'integralismo stiamo andando verso la distensione» VENEZIA. Si è già creata una strana leggenda intorno al film «Il silenzio» di Mohsen Makhmalbaf, uno dei più illustri registi iraniani, lodatissimo dalla critica all'estero e tormentato dalla censura in patria. Rifacendosi al fatto che la Quinta Sinfonia di Beethoven con il suo «tatatataaa» sarebbe stata composta dal musicista in risposta ai numerosi creditori che bussavano alla sua porta producendo un suono simile, gira voce che Makhmalbaf l'abbia scelta come tema del suo film per ricordare quanto sia povero l'Iran e quanti debiti abbia tuttora con il resto del mondo. In realtà Makhmalbaf racconta di aver pensato a questa storia ricordando sua nonna che gli imponeva, da piccolo, di tapparsi le orecchie perché la musica profana porta all'inferno e suo padre che, invece, da bambino, voleva ascoltasse le sinfonie occidentali. E la prima che sentì fu proprio la Quinta di Beethoven. Costretto in quest'ultimo periodo a girare all'estero, «Tempo d'amare» lo ha fatto in Turchia, «Il ciclista» hi Pakistan questo «Il silenzio» in Tagikistan, Makhmalbaf non permette però alla censura di interferire con la sua creatività: «Faccio i film che desidero e molti hanno perfino successo in patria. «Gabbeh» ha avuto più di un milione di spettatori, ben oltre ogni qualsiasi speranza, tenuto conto che i film d'arte, da noi, ne fanno ventitrentamila». Che film vanno di più in Iran? «La nostra cinematografia ne produce di tre tipi: quelli di propaganda al regùne che stanno in sala pochi giorni e passano alla tv; quel¬ li di imitazione hollywoodiana volgarotti e commerciali che possono anche aver successo al botteghino; quelli d'arte che cominciano ad affermarsi perché sport e cinema in Iran vendono benissimo e perché vengono premiati nei festival occidentali». Lei non teme che, com'è successo in Polonia, anche il cinema iraniano, un domani, se nel Paese si instaurasse la democrazia, potrebbe perder fascmo e finire per esser meno considerato? «No, non lo credo. Noi. non facciamo un cinema esplicitamente politico, ma un cinema poetico, ispirato alla grande lirica persiana che parla dell'uomo e ci insegna che niente è solo bene e niente solo male. E poi, per noi, politica, è diventato sinonimo di malaffare, intrallazzi, fregatura». Credo che la ripresa del terrorismo islamico possa complicare il suo lavoro di cinema? «Spero di no, in fondo dal governo di Khatami ci aspettiamo distensione. Purtroppo, anche se al Festival di Teheran, quest'anno, nessuna pellicola è stata censurata, hanno tagliato da questo mio film una scena di danza e, per polemica, io ho deciso di non farlo proiettare finché non sarà reinserita». Perché il cinema iraniano gode di tanto prestigio nel mondo? «Perché una parte degli spettatori occidentali si è francamente stufata di quello americano». Sua figlia ha esordito nella regia a Cannes con «La mela»: ne è contento? «Era inevitabile. Mia moglie è la mia assistente, io ho girato 15 film, in casa si parla solo di cinema: che altro poteva fare a 18 anni?». [si.ro.]
Persone citate: Beethoven, Khatami, Makhmalbaf, Mohsen Makhmalbaf
Luoghi citati: Cannes, Iran, Pakistan, Polonia, Tagikistan, Teheran, Turchia, Venezia
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