Meneghello e la «Banda dei perché»
Meneghello e la «Banda dei perché» Meneghello e la «Banda dei perché» «Noi studenti partigiani sui monti sapevamo solo farci tante domande» VENEZIA. Stefano Accora, protagonista de «I piccoli maestri», film che torna a raccontare la guerra partigiana, spiega che sì, per prepararsi al ruolo ha letto il libro di Luigi Meneghello, ha ristudiato qualche pagina di storia ma poi, per pudore, per timidezza quando ha incontrato l'autore non ne ha parlato con lui visto che, per scriverlo, aveva fatto passar vent'anni e certe vicende private si raccontano con imbarazzo. E subito Accorsi passa la parola a Luchetti, il regista del film, occhialino da professore indisponente, una notte passata in bianco per ansia, alle prese, stavolta, dopo i contemporanei «Il portaborse», «(Arriva la bufera», «La scuola», con un periodo storico che non ha vissuto visto che ha solo 38 anni. «Del libro di Meneghello mi aveva parlato dieci anni fa Mazzacurati sostenendo che sarebbe stato adatto per un mio film. Lo lessi ma non lo capii. Ci son tornato sopra quando era al governo Berlusconi e cominciava sui giornali la polemica sul revisionismo storico. E' allora che ho deciso di farlo. Per me è stato uno strumento di conoscenza prezioso perché girare un film non è leggere: è vivere. Mi sono ricordato di Calvino e di quel che diceva ne «Il sentiero dei nidi di ragno». Certo, davanti alla morte, fascisti e antifascisti sono uguali, ma non dimentichiamo che i primi sono morti per il totalitarismo, la guerra di conquista, le leggi razziali, gli altri per la democrazia, la libertà, il diritto al dissenso». Ma anche Luchetti, quando le domande s'infittiscono, tace e lascia parlare Luigi Meneghello, l'autore de «I piccoli maestri», lo scrittore che ha raccontato con malinconia e affetto questa sua guerra partigiana combattuta da studente sulle montagne di Asiago, nella «Banda dei perché», vicina al Partito d'azione di Ferruccio Pani. Meneghello, è vero che voi del Partito d'azione non sopportavate i comunisti? «Ma no. Anzi. Guardavamo con ammirazione la loro splendida funzionalità. Avevano alle spalle un partito e una ideologia: sapevano decidere e far la guerra, mentre noi sapevamo soprattutto farci delle domande». Non c'è del rimpianto in voi «azionisti» per esser stati messi da parte con l'avvento della Repubblica? «Noi eravamo, per lo più, degli intellettuali. Alcuni, come me, studenti universitari fascisti 0 fascistissimi. Altri, come il mio maestro Toni Giuralo, professore senza scuola perché non aveva preso la tessera, dei democratici usciti da vecchie famiglie socialiste. Ci dispiace non aver potuto dare il nostro contributo ai partiti che s'andavano formando in Italia. Ci è parso, e ci pare, che in Parlamento siano finiti 1 ripetenti e non i primi della classe». Cosa rimprovera ai giovani di oggi? (Assolutamente niente: se sono passivi, disinteressati, depressi è colpa dei tempi. E non credo affatto che per maturare seiva una guerra che impone scelte estreme. Si cresce come si può. Noi eravamo uomini a 20 anni, loro stentano a esserlo a 40, ma Croce diceva che "compito essenziale dei giovani è invecchiare" e lo facciamo tutti». [si. ro.j
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