«Lautrec» di Alessandra Levantesi
«Lautrec» «Lautrec» Nano barbuto misero e vitale VENEZIA. «Bisogna essere un po' folli per fare un film biografia», ha confessato Roger Planchon, che se ne intende: dopo «Louis enfant roi» ('92) sulla giovinezza del Re Sole, eccolo nella sezione Notti e Stelle con «Lautrec». Regista di teatro dal 1950, con allestimenti da Calderon a Molière a Shakespeare a Ionesco, Planchon ha affrontato 0 «biopic» sul pittore che ebbe la dannazione di nascere nanesco e deforme in modo diverso da quello di John Huston nell'hollywoodiano «Moulin Rouge» (1952). Cercando di esplorare gli aspetti inediti del complesso personaggio sulla base di svariate fonti, fra cui 500 lettere, ha messo in evidenza del «nano barbuto» la tagliente ironia, lo spirito irriverente, il vitalismo esasperato. Ma anche la sensibilità alle umane miserie e la capacità di capire l'arte altrui. Ultimo erede di una famiglia aristocratica, con una mamma pia e un padre dedito solo alle femmine e alla caccia, il giovane Henri de Toulouse Lautrec si trasferisce a Parigi per studiare belle arti e immergersi in una vita di bohème. Lautrec amava 0 popolino, il quartiere di Montmartre, i bordelli dove trascorreva le giornate dipingendo prostitute, i locali come il Moulin Rouge. Fu un libertino ma amò soprattutto una donna, Suzanne Valadon, famosa modella di Renoir e poi pittrice. Planchon rievoca sullo sfondo della Parigi d'epoca la breve parabola dell'esistenza di Henri (morì a 37 anni) da raffinato uomo di spettacolo. Nella successione delle immagini par di cogliere un'idea di messinscena più che di montaggio; e in questa chiave similteatrale va letta l'interpretazione degli eccellenti attori, dal protagonista Regis Royer al padre Claude Rieti e alla Suzanne di Elsa Zylberstein. Il problema è che «Lautrec» non riesce a evitare una compiaciuta ridondanza di situazioni, scenografie sfarzose, a spese del coinvolgimento emotivo. Al contrario «Tram de vivre» del romeno naturalizzato francese Radu Mihaileanu è un film magari troppo semplice, che si è conquistato uno degli applausi più commossi e lunghi del festival: oggi si avrà un'ulteriore proiezione chiesta a furor di popolo. L'idea è bella: nel '41 gli abitanti di un borgo ebreo dell'Est per sfuggire ai nazisti si comperano un treno: camuffando alcuni da SS, il progetto è attraversare l'Europa fingendosi deportati, per raggiungere Israele. Il viaggio è narrato in quella vena umoristica e favolistica tipica degb scrittori yiddish: all'inizio nessuno vuole fare il tedesco, ma poi siccome i falsi deportati sono ammassati nei vagoni e il falso nazi sta in un saloncino sorgono invidie e rivalse. Intanto il treno viaggia: si realizzerà 0 pazzesco sogno di libertà? Alessandra Levantesi
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