«Il silenzio» del giovane musicista cieco di Lietta Tornabuoni
«Il silenzio» del giovane musicista cieco In corsa per il Leone d'oro anche l'italiano «I piccoli maestri» sui drammi della Resistenza «Il silenzio» del giovane musicista cieco // regista iraniano conquista ispirandosi a Khayam VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Potrebbe vincere il Leone d'oro «Le silence» (Il silenzio) di Moshen Makhraalbaf. Insieme con «Racconto d'autunno» di Rohmer è il film più bello sinora visto alla Mostra; l'autore iraniano quarantunenne, convertitosi al cinema di poesia dopo una giovinezza di strenua militanza politico-religiosa includente cinque anni di carcere, è da tempo tra i più ammirati dalla cultura cinematografica e dai festival occidentali; e adesso il conflitto Iran-Afghanistan acuisce le sensibilità, l'attenzione. Makhmalbaf è un regista di stile meraviglioso: il suo film sulla musica, su un ragazzino decenne cieco accordatore di antichi strumenti musicali, sull'arte che salva dalla paura e dal dolore di vivere, è reso unico dalla ricchezza, purezza e densità delle immagini (il lago, le venditrici di pane di mele e di melograni, il grande mercato coperto, il viso e la danza d'una bambina con ciliege come orecchini e petali di fiori come smalto sulle unghie, il percorso lungo il quale il bambino dirige un'orchestra di calderai che martellano il loro rame). Ritmato anche dalle note iniziali della Quinta Sinfonia di Beethoven, prima musica occidentale conosciuta dal regista nell'infan- zia; girato in Tagikistan per evitare la censura incrudelitasi in Iran, ispirato ai versi di Omar Khayam, «Il silenzio» tratta la sua storia come un Fretesto ricercando invece eloquenza profonda e universale della poesia. «I piccoli maestri» di Daniele Luchetti, terzo film italiano in concorso, simpatico e un po' scolastico o piatto, è tratto dal romanzo omonimo scritto nei Sessanta da Luigi Meneghello per rievocare la guerra partigiana come l'avevano vissuta, sull'altipiano di Asiago e in città, lui stesso e alcuni suoi coetanei vicentini, perlopiù studenti ventenni. Una guerra sui monti e nei quartieri, combattuta da guerrieri incompetenti ma coraggiosi, complicata da dilemmi estetico-morali: l'orrore di fronte alla morte, l'estremismo intellettuale, il disprezzo per la retorica tipico all'epoca degli appartenenti al Partito d'Azione («Morte al fascismo», è il saluto dei partigiani comunisti al primo incontro; «Piacere, Giuroli» è la risposta del comandante azionista). E insieme le incertezze, le pene d'amore e di gelosia della giovinezza, la consapevolezza precoce d'aver vissuto in quel periodo, dall'autunno 1943 alla liberazione di Padova, non soltanto una maturazione («non più apprendisti ma maestri in proprio», piccoli maestri), ma anche il tempo migliore della vita. Nel film soltanto la battaglia conclusiva in piazza e l'arrivo degli inglesi risultano goffi; rispetto al libro di Meneghello, mancano lo spirito e il linguaggio veneti, l'essenza della «guerra per bande» come l'intendeva Mazzini, i radicali dubbi politici («ci spaventava non tanto il collasso degli istituti, e delle meschine idee su cui era fondato il nostro mondo di prima, quanto il dubbio istintivo sulla natura ultima di ciò che c'è dietro tutti gli istituti»). Manca pure la vitalità crudele della prima giovinezza: gli interpreti, tra i quali Stefano Accorsi è il migliore, avranno una decina d'anni più dei personaggi, e questo fa una differenza. Lietta Tornabuoni Nel film straniero grande ricchezza di immagini, di versi e di meraviglia Nell'altro, un gruppo di guerrieri incompetenti e coraggiosi, ma un po' scolastici Una scena del film di Luchetti «I piccoli maestri» presentato ieri in concorso a Venezia
Persone citate: Beethoven, Daniele Luchetti, Luchetti, Luigi Meneghello, Makhmalbaf, Mazzini, Meneghello, Rohmer, Stefano Accorsi
Luoghi citati: Asiago, Iran, Padova, Tagikistan, Venezia
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