Abdul contro il buonismo nero

Abdul contro il buonismo nero ANALISI. New York, il mancato successo della marcia di sabato ha evidenziato i conflitti fra i movimenti di colore Abdul contro il buonismo nero / nuovi islamici si scoprono razzisti L A marcia di protesta dei giovani africani americani sabato scorso ad Harlem ha avuto un successo molto inferiore al previsto. Ma ha riproposto il tema delle mille facce del radicalismo nero, del crescen Islam venato di razzismo. Il Sidney Poitier di Indovina chi viene a cena, per esemio, l'africano americano borghese e istruito degno di essere accolto da una famiglia bianca, non avrebbe certo potuto marciare con i protestatari di Khalid Abdul Mohammed a Harlem. Troppo rispettabile e affermato, come il generale Powell, che nel suo ufficio tiene un ritratto di Reagan. Ma attenzione: quando Louis Farrakhan, il potente capo della «Nazione dell'Islam» capeggiò la sua marcia su Washington, voluta e sprezzante sfida postuma a quella storica organizzata da Martin Luther King nel '63, il generale non respinse l'invito: si limitò a rispondere con rammarico che quel giorno aveva un altro impegno; gesto di prudente politica. Mohammed è, in effetti, un discepolo di Farrakhan, da cinque anni ripudiato in apparenza per le sue posizioni estremiste, e forse per gelosia. Ma lo scorso anno Farrakhan non ha esitato a riprendere tra le sue guardie del corpo un individuo appena uscito dal carcere dopo avere scontato una lunga condanna perché coinvolto nell'assassinio di Malcolm X. Nella mappa dei movimenti degli africano-americani (questo è il termine «politicamente corretto», dopo l'inaccettabile «negro», «nero», e «afro-americano»), il filone legato all'Islam rimane il più solido e il più longevo, a trent'anni dall'assassinio di Martin Luther King. Tutto comincia con la nascita dei «Black Muslims», i Musulmani Ne- ri (che si definiscono semplicemente Musulmani) negli Anni Cinquanta. Il loro capo carismatico divenne rapidamente Elijah Muhammad, e il suo braccio destro un giovane risoluto, Malcolm X. La scelta dell'islamismo, con l'adozione di nomi islamici in luogo di quelli originari, derivava dal rifiuto del Cristianesimo, ritenuto fin dai tempi della schiavitù uno strumento del potere dei bianchi. Gesto politico fin che si vuole, confermava quasi paradossalmente la persistenza del fattore religioso nei grandi movimenti di rivendicazione della gente di colore. Martin Luther King era un pastore battista, anche se nessuna chiesa battista bianca si sarebbe mai sognato di accoglierlo. Ma i Musulmani Neri respingevano le teorie di King sulla non violenza, respingevano in blocco l'America e si proclamavano «nazione», attendendosi che Dio, con i suoi angeli, scendesse a spazzare via gli odiati nemici. Malcolm X, che poneva invece l'accento sulla militanza politica rivoluzionaria e criticava la vera e propria commercializzazione del movimento attuata da Muhammad, entrò in urto con il capo e venne espulso. Restano pochi dubbi sul fatto che Muhammad o chi per lui abbia armato la mano dei sicari che uccisero Malcolm X nel '65. Oggi Farrakhan, erede del suo quasi omonimo Elijah, arriva a giudicare persino Malcolm X (la cui Autobiografia, redatta da Alex Haley, l'autore del fortunato romanzo Radici, e pubblicata in Italia da Einaudi, rimane una sorta di Bibbia per gli africano-americani e pe" tutta la sinistra anche europea) un moderato se non un traditore, e riaccogliendo il suo fedelissimo uscito di galera, con alcuni giri di parole ne giustifica l'assassinio. Khalid Abdul Mohammed spinge la sua predicazione alle estreme conseguenze, attaccando ebrei, cattoli¬ ci, omosessuali, curiosamente, ma non troppo, bersaglio pure del Ku Klux Klan. Che ne è degli altri movimenti? La «Southern Christian Conference» di King soffre di una grave crisi di leadership; curiosamente, il figlio ha dichiarato di credere alle professioni di innocenza del suo assassino, morto da pochi mesi, il quale ha accusato genericamente ciò che da noi si chiama «Servizi deviati». Rimane soltanto nel ricordo il leggendario discorso a Washington, con la nobile e forse illusoria retorica dell'«io ho un sogno». Il «Black Power», il Potere Nero caro ai nostri sessantottini, comunque un movimento di minoranza largamente intellettuale, appartiene già al passato e ai libri di storia. In quanto alle «Black Panthers», la Pantere Nere, rivoluzionarie e filo-castriste, sopravvivono qua e là a livello di piccoli circoli culturali o educativi. I loro capi sono scomparsi nell'ombra; uno, Eldridge Cleaver, autore del fortunato Anima in ghiaccio (pubblicato da Rizzoli con prefazione di chi scrive), già nel '76, quando lo incontrai a San Francisco, si era convertito, e, pentito, rifiutava di parlare del suo passato seppur recente di rivoltoso. Il reverendo Jesse Jackson, un tempo su posizioni radicali, fa ormai parte dello stato maggiore del partito democratico e offre pieno appoggio al presidente Clinton, il quale dal canto suo ha nominato lo scorso anno una commissione per affrontare i problemi degli africano-americani, ricca di rispettabili dignitari. Un discorso analogo si può farro per il regista Spike Lee, personaggio centrale nel nuovo cinema dei neri, per la sua biografia di Malcolm. Ma oggi è accusato dagli esponenti del fiorente cinema underground di esserrsi edulcorato (fu lui a usare la musica dei Public Enemy come colonna sonorra dei suoi film). Più che mai istituzionalizzata appare la più antica organizzazione nera, 0 Naacp, «National Association for the Advancement of Colored People», nata nel 1910 sotto l'impulso del più grande intellet¬ tuale nero di tutta la storia degli africano-americani, W. E. B. DuBois, e che in passato ha avuto meriti non mdifferenti soprattutto nella lotta contro la segregazione. Forse, accanto alla «Nazione dell'Islam», le posizioni più aggressive vanno cercate in fenomeni volutamente individuali. Penso al rap duro californiano dell'anarchico Shakur (ucciso in circostanze abbastanza misteriose), o al gruppo countryrock sudista che si chiama, significativamente, Public Enemy, Nemico Pubblico. Poi, naturalmente, ci sono i professori, e non da poco, se si considera che la cittadella dei più noti, Cornei West, tradotto anche in Italia, o Henry Louis Gates Jr., è addirittura il prestigioso Dipartimento africano-americano di Harvard. Ma la folla di Harlem che inneggia a Khalid Abdul Mohammed o i seguaci di Farrakhanm, i professori non li hanno mai sentiti nominare. Tra i ghetti e Harvard la distanza è infinita. Claudio Gorlier In crisi i seguaci di Luther King; JesseJackson appoggia Clinton; le «Black Panthers» sopravvivono Attacca ebrei, gay, cattolici, come il Ku Klux Klan; rifiuta il cristianesimo Sopra Khalid Abdul; sotto Farrakhan; al centro la manifestazione di sabato scorso; a destra Spike Lee

Luoghi citati: America, Italia, New York, San Francisco, Washington