Il profeta degli antichi sapori
Il profeta degli antichi sapori bordo. Le frontiere del gusto: parla Carlo Petrini Il profeta degli antichi sapori LI avverti i fiori di zucchina?». Carlo Petrini magnifica lo splendore, la vena leggermente amara di quella verdura passata in padella con gli agnolotti pizzicottati a mano. Siamo in un'osteria vicino a Bra, da Renzo, un suo amico. «Gran mangiare per meno di 50 mila lire», assicura Petrini, ideologo e pontefice dello Slow Food e fondatore dell'Arcigola, il movimento in difesa del gusto, anzi del Gusto con la maiuscola, perché per Petrini il sapore e il piacere di un cibo e di un vino non finiscono lì, non sono soltanto furore di papille, eccitazione estetica ed edonistica, ma si portano dietro le zolle, i pascoli e il letame, i sudori dei contadini e degli artigiani, gli antri dell'invecchiamento, i canti e le musiche delle feste nell'aia, il lavorio occulto delle flore batteriche minime e il Sole e la Luna, la Terra insomma e il Cosmo tutto quanto in un peana di vita. Petrini ha vere e proprie estasi odorando e succhiando un gorgonzola erborinato e un formaggio baciuk, cioè ubriaco, ricoperto, abbracciato da vinacce di barbera, che dapprima emana sentori d'ammoniaca, di urea, di sesso, ma poi tutto svapora, prevale un latte sodo e brillante. «La bellezza e la bontà non sono cose metafisiche ma di qui, sono anche sporche», dice Petrini. Petrini, buongustaio di razza, a tavola gioca e ride, ma è parco. Alto uno e 83, pesa cento chili esatti, mai un grammo di più o di meno. Ha 49 anni ed è felicemente scapolo. Mentre pilucca la coscetta d'una rana fritta, definisce il gusto come un «sapere che gode, perché il sapere senza gioia è stenle, sciapo». Oppure, all'inverso, come «piacere che conosce, perché il solo piacere, il piacere cieco, è crapula e miseria». Sensi, intelletto e morale si sposano dunque a mensa. Ideale per lui è una «onesta voluttà», formula che riprende da un umanista del Quattrocento, il Platina. Ma quale conoscenza, quale morale? E' qui che s'incontra la battaglia, la vera e propria missione di Petrini, che però lui preferisce chiamare mission, all'inglese, nonostante l'antipatia per queste parole esotico-manageriali, perché in questo caso si perde un sovrappiù d'impegnativo, d'enfatico, quasi di religioso. Mission gli sembra termine più laico. La realtà è che il nostro gusto è minacciato, rischia d'appiattirsi, di non capire, non conoscere più la gloria di tanti sapori. Semplicemente perché tanti sapori sono in pericolo, tendono a scomparire. Per numerose ragioni: le monocolture esasperate imbottite di fertilizzanti, i contadini che smettono di produrre un ortaggio perché non conviene più, gli artigiani che cambiano lavoro perché avviliti da una legislu- <- u *ssivamente iperigienica, le indù strie che impongono i loro standard, i supermercati che danno poco spazio ai prodotti locali, altri motivi ancora. Petrini s'inalbera inghiottendo un calice di barbera «che non teme confronti con i grandi di Borgogna». Diventa una specie di bardo, di cantore del cibo-verità, si trasforma in un Lutero degli Orti Nuovi, nuovi perché antichi, tali e quali a quelli d'una volta. Ha una visione di salvezza, di riscatto: la Tavola Riformata. Un cibo che muore si porta dietro una terra, una gente, una cultura, un piacere. L'oblio è in agguato, l'Essere, un certo modo di stare al mondo, e buona parte dello stesso mondo, è in pericolo. Urge salvarlo. «L'altro giorno vado nelle Langhe e mangio una peperonata fiacca, ignobile racconta -. "I peperoni vengono dall'Olanda", mi spiegano. Sono tutti uguali, durano di più, costano di meno e non sanno di niente. "Che fine hanno fatto i peperoni della Motta belli carnosi?", domando. "Finiti, non rendono più", mi rispondono. "E nelle serre dove c'erano i peperoni, che cosa c'è?". "Bulbi di tulipano". Capito? Noi piemontesi facciamo arrivare i peperoni dall'Olanda e mandiamo là i nostri bulbi. Facciamo lavorare i trasporti. Intanto sparisce una specie genetica, i peperoni della Motta di Costigliole. E questa sarebbe la globalizzazione?». L'aneddoto s'allarga, diventa un affresco orribile. A tratti Petrini ricorda il poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, che nella sua Pennabilli, sull'Appennino fra Romagna e Marche, ha piantato il Giardino dei sapori perduti. Una gemma di Guerra è il «biricocolo», un superstite albicocco del Settecento dal profumo fantastico. «Ogni giorno dice Petrini - scompaiono sei specie genetiche di frutta e verdura dalla faccia della Terra. In campo alimentare questo vuol dire omologazione, impoverimento, perdita di gusti. Le pesche vengono dalla California, non esiste pera che non sia made in Argentina, le fragole salgono dal Nord Africa. Avevamo 250 tipi di carciofi, ce ne restano dieci. Il granone di Lodi, formaggio epico, esaltato da Casanova e Dumas, non c'è più, e il salame di San Benedetto, quello vero, cotto • ' i o le ceneri, lo si produce orr ì qualche sperduta cascina del Man tovano e soltanto per l'autoconsumo». Ed ecco la prima polemica: «Gli ecologisti difendono il panda e la tigre del Bengala, ma qui scompare la gallina padovana, e la pecora bergamasca se n'è già andata». E la seconda: «Ce l'ho con il bon vivant, il ghiottone che esclama: "Oh, che bei lajarin!", ma poi non sa da dove vengono i peperoni che li condiscono. Se sei insensibile alle degenerazioni che produce la società alimentare, sei un cujunì II gourmet del 2000 deve avere sensibilità ecologica». Un'invettiva contro la saccenteria estetizzante dei buongustai improvvisati. La tavola esige sapere e coscienza. Bisogna difenderla. Petrini sguaina il suo Slow Food, fondato nell'89 a Bra: comprende più di 60 mila soci in 35 Paesi. In Italia ce ne sono circa la metà. Organizzati in cellule chiamate Convivici, formano un movimento di guerriglia enogastronomica. La parola «movimento» intenerisce Petrini, è una sua bandiera del tempo che fu. Petrini viene dal mondo cattolico, era ed è di sinistra, ma di una sinistra «con la vocazione a star bene, non a star male. Dov'era la centralità operaia di cui si parlava tanto negli Anni 70? Non la trovavo. E perché fare gli asceti o gli straccioni quando qui, fra Langhe e Roero, c'è la gioia del vino e delle scampagnate?». Il giovane Petrini, perito meccanico, s'iscrive a Sociologia a Trento, dove studiavano i Curcio e i Rostagno e insegnavano i Musatti e i Ferrarotti. Non finisce gli studi, fa il rappresentante, fonda Radio Bra Onde Rosse, «la prima radio libera d'Italia prima che la legge lo consentisse. Comprammo per un milione al mercatino americano di Livorno un'emittente greco-cipriota. Sembrava Radio Tirana». Gliela sequestrano, lui ne compra un'altra, ma gli mettono sotto chiave pure quella, e allora lui e Dario Fo, corso a Bra, cercano di recuperarla in caserma con la scusa di «dover tarare il forzometro», uno strumento inesistente, se no andava in rovina. Un pirata, Petrini, che ama la burla. La seconda avventura fu organizzare il festival di musica popolare Canté j'euv, cantare le uova. Nottetempo, di Quaresima, s'andava per le case a chiedere le uova, simbolo di fertilità: (Ancora oggi in quei giorni chiudo tutto e vado a canté j'euv. La gente dorme, s'ac¬ cende una luce, scendono le scale e ci danno le uova, facciamo frittate e si beve, si balla, si fa bisboccia. Era una tradizione che moriva, adesso è vigorosa di nuovo. Al cibo io non ci arrivo, c'ero già. E quando, nei primi Anni 80, nasce a Milano la rivista la Gola, ci collaboro, conosco Portinari, Meldini, Capatti, Porta, e mi metto a studiare, m'innamoro della cultura materiale e delle Annales, leggo Le Goff, Braudel, divento amico di Camporesi, del Carlo Ginzburg del Formaggio e i vermi, frequento tre corsi in Borgogna per imparare rampelografia, la scienza dei vitigni. Volevo conciliare i due fronti, il sapere gastronomico astratto, incapace dì distinguere il vino che puzza da quello buono, e il sapere tutto pratico che non vuol sentir parlare di cultura». Petrini, da pirata giocoso che era, diventa profeta del gusto. Il suo verbo è: educare, educare, educare. Un'ossessione. Il suo Slow Food produce riviste, guide, libri-leccornia di ricette e scoperte, organizza eventi. Petrini tira fuori un'altra anima ancora: quella dell'imprenditore. Dà lavoro a 60 persone, iattura sette miliardi l'anno. Ma sempre all'insegna del non prof'it: «Bisogna farlo, il profitto, che però reinvesto tutto. Sono contro l'appropriazione individualistica: mi piace che il profitto sia utile per una causa più grande... lo sono cambiato in tante cose, ma non sono pentito. Il comunismo non c'è più, dicevamo tante cazzate. Il non prof'it mi permette una certa coerenza, è un'opzione d'economia vera. E le papille non hanno ideologie». Educare, dunque. Comunicare, convincere, motivare. Un'iniziativa nata da poco è l'Arca del Gusto, che veleggia bene. Vi vengono imbarcati i salami, i formaggi, le erbe, le verdure, i frutti, le conserve, i pani, ogni ben di Dio in via d'estinzione. Carlo «Noè» Petrini e i suoi guerriglieri, i conviviales, scelgono, catalogano, elaborano repertori di prodotti, li fanno conoscere. L'impresa è complicata: bisogna persuadere i contadini e gli artigiani a non smettere, i piccoli commercianti a non chiudere ma a specializzarsi offrendo cose che non sono in mostra anche nei supermercati, e i consumatori a spendere di più per certi prodotti. «Si tratta in definitiva di ridare dignità economica alla piccola produzione agroalimentare di qualità. Tutti devono continuare a guadagnarci. Com'è successo per il vino, una sfida vinta. Nel '70 gli italiani consumavano 100 litri di vino a testa, oggi 48. Eppure le aziende vinicole vanno meglio di ieri. Perché? Perché hanno scelto il carro della qualità, che si paga di più. I consumatori hanno capito. Lo stesso discorso deve ora spostarsi su tutto l'alimentare. Solo così il gusto, il piacere, non s'immalinconisce». Petrini s'alza da tavola. Un ultimo goccio di barbera e si dirige con fauto verso un luogo misterioso: «Sarà una sorpresa». Parla intanto di un'altra iniziativa andata in porto: lo Slow Food entra nelle aule. In dodici città si terranno corsi d'aggiornamento per insegnanti «di scuole d'ogni ordine e grado», come sta scritto nel decreto firmato dal sottosegretario Carla Rocchi il 7 luglio scorso. «Faremo educazione ai sensi, all'alimentazione. Una mattina faccio sentire il proI fumo d'una mela a un bambino bendato e questo mi dice che è uno shampoo. Non sanno piii nulla». E poi è imminente il Salone del Gusto al Lingotto, dal 5 al 9 novembre. Due anni fa si tenne un Salone Piccolino, sperimentale. «Questo e grande, sarà il terzo polo aumentare dopo il Gibus di Parma e il Vinitaly di Verona. Noi quattro sfigati di Bra che conquistiamo Torino... Non sarà una fiera, non vendiamo stand: siamo anzi noi che selezioniamo gli invitati per questa che è forse la più vasta operazione didattica al mondo. Non esagero: ci sono 154 laboratori per degustazioni guidate, 300 artigiani alimentari per assaggiare specialità d'ogni continente, e poi sale, enoteche, corsi di cucina, convegni, più di 50 appuntamenti con i più bravi cuochi italiani e stranieri. Vogliamo dirlo o no che lo Slow Food e l'Arca e tutto quanto facciamo non sono un monumento alla nostalgia? Noi non rinneghiamo affatto il nuovo, il moderno; l'industriale, se è ben fatto; ma proponiamo un'alternativa per gli appassionati, por chi vuol continuare a mangiare e a bere bene. Non siamo khomeinisti, missionari integralisti. Slow Food vuol dire in fondo Slow Life, vita lenta, dove la lentezza è metafora del capire, dell'amare, del godere, del gustare consapevole, li nostro antagonista Fast Food non e un demonio. Ce l'avevamo soprattutto con una certa sua tipologia edilizia sempre ugnale, che snatura tanti nostri centri storici. Le case mi appassionano: perche nelle nostre campagne devono sorgere casacce colorate tutte simili e contrarie alle linee e ai colori della natura che le circonda? Perche insomma le nuove case non seguono più i modi e i materiali dettati dai luogo? La lotta per il gusto, per il cibo perbene, fa tutt'uno con la conservazione del paesaggio e dell'arte». Petrini ferma l'auto. Di fronte, una specie di castello, una chiesa, un gran verde. Silenzio. Grilli, suoni d'acqua. «C'è il Tanaro, laggiù. Questa è l'ex Agenzia Agricola del Parco Reale di Pollenzo, voluta da Carlo Alberto, sotto Bra. Un'impresa modello, allora, il centro direzionale delle proprietà fondiarie di Casa Savoia». Tutto in abbandono. Petrini sale nei saloni sbrindellati, s'inoltra nelle cantine maestose, lunghissime. E' la nuova visione del profeta-nnprenditore Carlo Petrini, forse il suo culmine, la sua scommessa più spinta: in quest'enorme fabbricato quadrato qua e là neogoticheggiante dotato di grandissimo cortile, giardino e parco, sorgeranno, con i 24 miliardi di una public company, un albergo, una banca del vino (vini gagliardi, preziosi, accantonati per il futuro), e l'Accademia europea del gusto, di livello universitario «una novità assoluta», garantisce Petrini - per dirigenti di aziende agroalimentari, operatori turistici, albergatori e ristoratori, e così via. «Tempo 4 anni e questo diventerà il Tempio del Gusto». Auguri. Claudio Al tarocca Per l'ideologo dello Slow Food il piacere di un cibo e di un vino non sono soltanto furore dipapille, eccitazione estetica ed edonistica Ma si portano dietro i pascoli e il letame, il sudore dei contadini e degli artigiani, i canti e le musiche delle feste nell'aia bordo. Le fron
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