E cade anche il velo sull'avvocato-mediatore di Giovanni Bianconi
E cade anche il velo sull'avvocato-mediatore la strada della collaborazione E cade anche il velo sull'avvocato-mediatore ROMA I L nome circola con insistenti za, qualcuno gli attribuisce l'assoluta certezza, ma nessuno ufficialmente. E lui, il diretto interessato, smentisce: «Non sono 10 l'uomo della trattativa, la signora Sgarella non ha chiamato il mio numero dopo la sua liberazione». Dice così il penalista del foro di Locri, di cui non pubblichiamo 11 nome per esigenze di riservatezza, difensore di molti imputati di 'ndrangheta tra cui anche qualcuno del clan Barbaro di Piatì. Gli inquirenti non vogliono rivelare l'identità dell'avvocato, anche se prima o poi dovrà venir fuori hi atti ufficiali, e in ogni caso il numero chiamato dalla Sgarella appena libera (consegnatole dai sequestratori) è rimasto segnato nei tabulati Telecom della casa da cui ha telefonato. Alcuni elementi portano a ritenere che proprio quell'avvocato sia l'uomo della telefonata che doveva servire a mettere il «timbro» sull'operazione alla quale hanno collaborato, dal carcere, uno o due boss calabresi. Lui nega decisamente: «Non capisco in base a quali congetture sia venuto fuori il mio nome. Io non sono stato contattato né mi sono interessato alla vicenda della signora Sgarella». Ma è vero che lui difende Giuseppe Barbaro detto u nigrul «Ho molti clienti», taglia corto il legale. Il mistero che sembrava aver trovato una soluzione, dunque, sarà svelato definitivamente solo da dichiarazioni o atti ufficiali. A quel punto avrà contorni più precisi anche quell'accordo che quattro giorni dopo la liberazione di Alessandra - è diventata la «trattativa dello scandalo». Condotta in base ad articoli di legge, ma sulla quale si accavallano le polemiche. Spiega il procuratore nazionale antùnafia Piero Luigi Vigna che la trattativa «non può essere avviata con chi non ha concorso nel reato». E allora? Come si poteva promettere qualcosa ai boss che dal carcere hanno aiutato a far liberare Alessandra Sgarella? La risposta arriverà quando l'inchiesta sul sequestro dell'imprenditrice mi lanese approderà davanti a un tribunale; in quel momento si vedrà se tra i nomi dei rinviati a giudizio ci saranno anche quelli di chi, dalla galera, s'è mosso per far tornare a casa l'ostaggio. Probabilmente andrà proprio così. Chi ha collaborato nelle indagini sul sequestro verrà comunque accusato di concorso nel reato e inserito nella banda che ha rapito la signora Sgarella. Per queste persone - una o due, assicurano gli investigatori - potrebbero a quel punto scattare i benefici di legge previsti dall'articolo 58 ter dell'ordinamento penitenziario. Recita quella norma che i divieti di ottenere l'autorizzazione a lavorare fuori dal carcere, i permessi premio e la semilibertà «non si applicano a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero hanno aiutato concretamente l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati». Prosegue la legge che tutto questo andrà accertato dal tribunale di sorveglianza, «assunte le necessarie informazioni e sentito il parere del pubblico ministero presso il giudice competente per i reati in ordine ai quali è stata prestata la collaborazione». L'accordo è quello che il pm Nobili (competente nel sequestro Sgarella) darà parere favorevole a concedere i benefici ai detenuti che hanno aiutato la polizia a far liberare la Sgarella. Costoro, già condannati a parecchi anni di carcere per gravi reati, hanno in sostanza barattato la prospettiva concreta di benefici penitenziari a breve termine in cambio di una nuova accusa e un nuovo processo nel corso del quale, peraltro, il pm chiederà di affievolire l'eventuale pena sempre in virtù della collaborazione. Questa sarebbe la sostanza della «trattativa dello scandalo». Condotta con chi? Si ritorna al mistero iniziale, perché il riserbo sul nome dell'avvocato equivale a coprire i detenuti che hanno collaborato. Il boss di Piatì Domenico Papalia manda a dire attraverso il suo difensore Carlo Taormina che lui non c'entra niente. Il legale rivela che effettivamente il 21 agosto scorso l'ispettore della Criminalpol Domenico Gallo s'è recato in carcere dal suo cliente, ma Papalia avrebbe accolto la proposta di collaborazione sul sequestro Sgarella «come una provocazione, respinta con determinazione». Altri difensori dei capiclan dell'Aspromonte negano ogni ruolo, come il penalista di Locri. Di certo - ufficialmente - restano solo i nomi delle cosche contattate, citati nell'informativa del capo della polizia al ministro dell'Interno: i Barbaro e i Trimboli di Piatì. Giovanni Bianconi Chiamato in causa un penalista di Locri Ma lui smentisce: «Mai stato contattato» I dettagli dei colloqui sui benefìci Il pm Alberto Nobili
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