Caso-Sgarella, il gelo di Borrelli

Caso-Sgarella, il gelo di Borrelli Si apre il dibattito sulla linea di Nobili. Il procuratore di Milano: ero in ferie, devo saperne di più Caso-Sgarella, il gelo di Borrelli 1E il marito: doveva rimanere in prigione perfar contento qualcuno MILANO. Alle critiche e alle polemiche sollevate dal mondo politico, gli inquirenti che hanno liberato Alessandra Sgarella devono aggiungere anche una reazione inaspettatamente gelida del procuratore capo, Francesco Saverio Borrelli. «Su quello che è accaduto in mia assenza - ha dichiarato infatti il procuratore ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulla vicenda - mi riservo di acquisire informazioni e di riferire nel caso mi venisse richiesto». E a chi, poche ore dopo gli faceva notare che una frase del genere poteva suonare come una presa di distanza nei confronti di Nobili, atteggiamento molto raro da parte di Borrelli nei confronti dei suoi uomini, il procuratore non ha fatto altro che replicare seccamente: ((Attendo di avere informazioni che al momento non ho». Anche Borrelli dunque non condivide la linea seguita da Nobili e dal pm Robledo di aprire un canale riservato con alcuni boss della 'ndrangheta? In realtà la polemica, sostengono i bene informati, non è affatto con i due magistrati ma con il coordinatore della Dda milanese, nonché uno dei vice di Borrelli, il procuratore aggiunto Manlio Minale cui sarebbe spettato il compito di riferire sulle iniziative prese dagli investigatori e che, a quanto pare, ufficialmente non aveva ancora fatto sapere alcunché al suo capo. Nel tardo pomeriggio, infine, ha tentato di riappacificare gli animi lo stesso pg Vittorio Loi, che ha convocato per una riunione sia Borrelli sia Minale. Al di là di queste ripicche, che certo non favoriscono un clima sereno intorno alle indagini e che hanno in parte origine anche da attriti personali, l'inchiesta è ripresa a spron battuto. Alberto Nobili è rimasto tutta la mattinata nel suo ufficio per coordinare le indagini sui carcerieri di Alessandra Sgarella, tutt'ora in libertà. Nel pomeriggio invece si è recato, con diversi funzionari di polizia, a interrogare come testimone Alessandra Sgarella, per tentare di ricostruire insieme a lei le fasi del sequestro. Il pm non ha voluto replicare ad alcuna polemica. Semplicemente si è limitato a smentire quanto pubblicato ieri da alcuni quotidiani circa l'identità del boss o dei boss che si sarebbero adoperati per far sì che l'imprenditrice venisse liberata: dai Papalia, ai Barbaro, due cosche che tra l'altro, nel '93, avevano deciso di uccidere Nobili proprio per le sue inchieste sulle cosche di Piatì. Ma per gli inquirenti, «si trat¬ ta d'interpretazioni e illazioni prive di qualsiasi fondamento». Nel pomeriggio addirittura, il legale di Domenico Papalia, l'avvocato Carlo Taormina, ha diramato una nota per smentire il coinvolgimento del suo cliente nella «infamante ricostruzione del rilascio di Alessandra Sgarella». Ma i magistrati insistono: nell'utilizzo delle fonti confidenziali attraverso i colloqui investigativi, «si sono svolte trattative all'interno degli argini della legge». Gli inquirenti, e non solo magistrati, comunque non nascondo ima certa amarezza per le polemiche: «Cosa dovevamo fare, lasciarla morire? Se avessimo mirato solo alla cattura dei carcerieri, evitando l'arresto dei Lumbaca, la signora Sgarella sarebbe rimasta ostaggio forse per un altro arnio e la famiglia avrebbe versato 5 miliardi ai rapitori senza risultato. Ci sembra in¬ vece di aver scelto la strada più giusta e invece ci piovono addosso tutte queste critiche». Su un punto gli inquirenti insistono: «Non abbiamo trattato con dei latitanti, tutto si è svolto all'interno delle carceri. Siamo andati a parlare con tutti, con i Papalia, con il vecchio Mammoliti, con i membri di tutte le famiglie più conosciute della 'ndrangheta. Ma la risposta giusta, la più credibile, è arrivata solo da una famiglia in particolare. L'entrata in scena dell'avvocato è stata necessaria per non insospettire gli altri detenuti con la presenza continua di poliziotti. Che cosa abbia fatto questa "famiglia" per ottenere la liberazione della Sgarella, non lo sappiamo. Ma l'importante.' è aver raggiunto il risultato, nel rispetto della legge». Paolo Colonnello Confronto ieri sera fra Borrelli e il coordinatore della Direzione antimafia Gli inquirenti «Non abbiamo trattato con i latitanti» LA VERITÀ' DEL PM NOBILI Di fronte alla vita di una persona in segregazione, qualche rischio si deve correre Il 25 giugno abbiamo eseguito i 7 arresti, perché eravamo certi che avrebbero fatto pagare al marito 5 miliardi senza restituire la donna. Il 29giugno c'era stato l'appello in tv. Dopo, solo il silenzio. Non potevamo restare con le mani in mano Abbiamo pensato che i custodi, da soli, non fossero in grado di riprendere le trattatile. Abbiamo deciso allora di muoverci noi Ci siamo avvalsi anche della collaborazione di alcuni personaggi di rilievo della malavita, come prevede la legge Tra i molti gruppi che avevamo contattato, ce n'è stato uno che ci ha fatto capire di essere in grado di ottenere un risultato Abbiamo promesso ad alcuni detenuti che. a liberazione avvenuta, ci saremmo interessati per la concessione dei benefici previsti dalla legge Nessun riscatto è stato pagato • • ss»»»: cd 1 In basso, Alessandra Sgarella insieme con il marito Pietro Vavassori. L'uomo lamenta che le polemiche abbiano fatto passare in secondo piano la liberazione della moglie dopo 266 giorni di prigionia

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