«La Cina? Scopre la libertà anche nel pentagramma» di Sergio Trombetta

«La Cina? Scopre la libertà anche nel pentagramma» Settembre Musica sulla via dell'Oriente: parla Tan Dun «La Cina? Scopre la libertà anche nel pentagramma» torino. Quando nel 1978, due anni dopo la morte di Mao, il Conservatorio Centrale di Pechino riprese l'attività interrotta nel periodo della Rivoluzione culturale, furono 17 mila gli studenti che, iscrizione alla mano, si presentarono alle sue porte. L'episodio è raccontato da Enzo Restagno nel volume «La musica cinese» edito dalla Edi per Settembre Musica che al grande Paese orientale dedica quest'anno un ampio medaglione. Fra quegli studenti che volevano entrare al Conservatorio c'era anche l'allora diciannovenne Tan Dun, l'autore del (v Marco Polo» andato in scena sanato sera al Teatro Carigiiano. Era cresciuto nella provincia dello Hunan, aveva soprattutto esperienza di musica tradizionale e del pentagramma conosceva soltanto quello che aveva imparato a scuola. Neanche dieci anni dopo, nell'86, Tan Dun partiva per New York con una horsa di studio della Columbus University. Ma aveva dovuto aspettare quattro anni per lasciare Pechino. Le sue musiche non erano conformi all'estetica politica in vigore e lui era un tipo sospetto. «Adesso molte cose sono cambiate. Torno in Cina ogni anno, e nei Conservatori c'è molta più libertà. Si studia la musica del '900. Meglio di quando c'ero io, ma non abbastanza: sono fermi a Schoenberg e Shostakovich». Una situazione complessa, dunque, che accumula aperture e ritardi: «Da noi c'è un ottimo sistema di insegnamento. Sin dalle elementari i ragazzini prendono dimestichezza con uno strumento e imparano il sistema occidentale, che ha preso piede da noi con i preti missionari all'inizio del secolo». Ma in Cina c'è anche una gloriosa e complessa tradizione musicale. «Quella si studia al Conservatorio - spiega Tan Dun - gli allievi affrontano cinque o sei tipi di musica cinese: teatrale, popolare, religiosa, strumentale e antica. Poi, ovviamente, grandi studi dei maestri dell'Ovest. Ma se si arriva alla dodecafonia è già molto. Così capita che i compositori non sono al corrente di quanto sta succedendo nella società musicale mondiale». Berio, Boulez, Adams, Glass? «Qualcuno li conosce, ma sono casi isolati». Eppure John Adams ha scritto un'opera intitolata «Nixon in China». «Ma da noi pochi ne sono a conoscenza». E' forte comunque il confronto fra i due sistemi musicali, orientale e occidentale: «Oggi, in Occidente sono cadute le dittature dei capiscuola. C'è più libertà creativa e questo consente ai compositori cinesi di inserirsi con le loro proprie voci, con gli accenti tipici del loro Paese. C'è maggiore ricchezza stilistica». Ma qual è la musica che viene suonata alla radio, alla tv che si ascolta nelle sale da concerto? «Pop e rock, come in tutto il mondo». E la classica? «Si fermano a Brahms. Le orchestre cinesi non sanno suonare il '900, non sanno suonare neppure Mahler o Debussy». La sua opera che è andata in scena sabato sembra proprio volere essere la sintesi di questo confronto fra due parti del mondo: «Il viaggio di Marco Polo in Cina ha cambiato Tinte- ra storia culturale. Allora l'Oriente voleva dire seta, oro, spezie. Oggi Marco Polo compie il viaggio al contrario e l'Oriente porta da voi, cultura, tradizioni e l'Europa si apre alla nostra influenza. Per me Marco Polo è il simbolo del multicul¬ turale. Ed è anche il simbolo di un triplice viaggio: quello fisico dell'esploratore da Venezia a Pechino, quello spirituale dal passato al futuro e quello musicale dall'Est all'Ovest». Sergio Trombetta Una cantante dell'Opera di Pechino; Settembre Musica ha ospitato il «Marco Polo» del compositore cinese Tan Dun