Jim: «M'ha cambiato la vita di Simonetta Robiony

Jim: «M'ha cambiato la vita Jim: «M'ha cambiato la vita «Sono precipitato nell incertezza dopo aver recitato in questo film VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Ha i piedi più grandi che mai siano apparsi al Lido, Jim Carrey, piedi che, con il naso corto e l'occhio tondo, contribuiscono a dargli quella solidità tontolona che lo apparenta a Lil Abner facendone un fumetto vivente. Protagonista di film di cassetta come «Ace Ventura», «The Mask», «Scemo più scemo», nonostante abbia compiuto un improvviso balzo nella categoria degli attori impegnati con «The Truman show» di Peter Weir, non rinuncia a un ingresso da showman. «Layer, layer», ovvero «Bugiardo bugiardo», titolo della sua ultima pellicola multimiliardaria, grida, spalancando la porta, all'indirizzo di Weir che in quel momento si è imbarcato in una complessa distinzione tra verità e invenzione all'interno dell'universo della comunicazione televisiva. E deve aver ragione: la scemenza paga, e paga tanto. L'applauso più forsennato della Mostra, infatti, se lo becca lui e per lui, più che per il ragazzo Matt Damon, è ia folta fila di fans in cerca di autografo che lo aspetta davanti alla terrazza dell'Excelsior. «The Truman show», film che solleva questioni complesse dall'uso della tv alla violazione della privatezza, dallo sfruttamento delle emozioni alla scriteriata invasione pubblicitaria, e quindi giù una caterva di domande difficili, viene come «bonsaizzato», rimpicciolito, minimizzato nelle parole di Peter Weir, autore australiano celeberrimo da «Pic-nic ad Hanging rock», fino a «L'attimo l'uggente», come a prendere le distanze da una materia che gronda attualità scottante e suscita timori ansiogeni. Il film l'ha diretto, ma non l'ha scelto né scritto lui: l'idea vincente e dello sceneggiatore Andrew Niccol, Carrey era nel progetto prima di lui, Weir s'è limitato a dirigerlo trovando in Seaside, nella Florida, il luogo ideale per ricostruire la falsa città-studio di Seahaven. «Non credo», dice, «che la tv sia un mezzo pericoloso in sé: è pericoloso l'uso che se ne fa. Troppa tv, soprattutto per i bambini, può portare alla passività, a non distinguere ciò che è reale da ciò che non lo ò, ad abbassare fino all'indifferenza la soglia della sensibilità». E non aggiunge altro perche far cinema e dire con le immagini: le parole non servono. Intanto, mentre lui parla, Carrey fa i suoi numeri. Interrompe come l'osse un disc-jockey di una radio libera invitando tutti a cambiare canale, legge in italiano un biglietto su cui è scritto: «Sono un leccaculo intemazionale)', giura di aver dovuto tare sul set un grosso lavoro di sottrazione perché a Weir le sue trovate e le sue facce parevano superflue, ride, giocherella, ammicca, si esibisce. Però si rifiuta di raccontare una barzelletta a comando perché: «Se me lo ordinano non so dirle: mio padre ne aveva migliaia pronte, ma io son più portato per i giochi di parole». Non rinnega i precedenti film 'scemi, «perche credo che si possa far convivere la commedia con personaggi da cartoni animati e studi approfonditi sui aioli. E ritengo che ogni mio personaggio fosse in sintonia con il film». Non ce la fa piti a reggere il paragone con Jerry Lewis «io sono io, lui è lui». Racconta il suo impegni con Milos Forman per «Man in the Moon», la biografia di .Andy Kaufmann, il comico di «Saturday night live» morto a 35 anni. E arriva perfino a lanciarsi in un ! peana a favore di questo «Truman j show», il film che gli ha cambiato ; la vita. «Non che prima non avessi già avuto delle svolte nella mia j esistenza - dice -, ma questo film, . con i suoi interrogativi, mi ha pre- j cipitato in un baratro di insicurez- : za, spedendomi in territori sconosciuti. Anch'io, come il mio personaggio, mi sono chiesto chi tossi e cosa stessi facendo. E come lui sono uscito più libero da quest'avventura. Adesso posso andare al mercato, mangiare un gelato, passeggiare, incontrare amici per strada, senza aver più l'angoscia di pensare a quale effetto procura la mia immagine negli occhi di chi mi guarda. Ho rischiato sperando nel miracolo e il miracolo c'è stato». Pausa, sospiro, battuta: «Miracolo a Milano». Simonetta Robiony

Luoghi citati: Florida, Lil, Milano, Venezia