Weir manda in onda Carrey
Weir manda in onda Carrey «The Truman Show», presentato a «Notti e stelle», è un gioiello di finezza registica e interpretativa Weir manda in onda Carrey Se la tv è vampira, l'uomo è comune VENEZIA. Alla Mostra di Venezia è arrivato un gioiello di squisita finezza registica e interpretativa, per non parlare della qualità dei valori di produzione. Non c'è un particolare fuori posto in «The Truman Show» di Peter Weir, presentato nella sezione «Notti e Stelle». E fra le tante scommesse vinte del film c'è quella di aver fatto cambiare passo al re della farsa Anni Novanta Jim Carrey. Eppure il suo pubblico non è rimasto deluso, basta vedere il botteghino Usa: 130 milioni di dollari, oltre 200 miliardi di lire. Il meccanismo della storia lo svela il sottotitolo del film «In onda, senza saperlo». Fin dalla nascita Truman Burbank vive un'esistenza fasulla nella ridente cittadina di Seaheaven che altro non è che un gigantesco set popolato di attori e comparse. Sono trent'anni che il pubblico planetario segue appassionatamente ogni giorno il «Truman Show», cioè il romanzo a puntate della sua vita; e nel corso del tempo e con l'aumentare delle sponsorizzazioni gli obiettivi puntati su di lui, in casa, al lavoro, ovunque, sono diventati cinquemila. Ignaro della messa in scena Truman è cresciuto in quel mondo fittizio come un uomo «normale»: però è l'uomo normale propagandato dalla pubblicità, con una moglie perfettina e asessuata, impiegato modello di una società di assicurazioni e di umore invariabilmente sereno come il cielo di Seaheaven. Una sola volta il nostro ha visto scatenarsi una tempesta: aveva sette anni ed era in barca con il padre che morì annegato, un ricordo traumatico che lo perseguita. Ma ora il protagonista avverte che qualcosa non funziona: perché non trova mai un cliente? perché l'unica ragazza di cui con repentino colpo di fulmine si era innamorato è scomparsa? perché ha la sensazione di essere sempre controllato? e come mai gli capita di incontrare il padre? Il pregio maggiore di «The Truman Show» non è nell'idea: la sceneggiatura di An- drew Niccol non è la prima a raccontare di come uno spaccato di realtà possa diventare materia di fiction televisiva; e la satira dei mass media che vampirizzano il mondo vero trasformandolo in virtuale è stata affrontata in svariate salse. Così come non è inedita la figura dell'orwelliano creatore del Truman Show, impersonato da Ed Harris in un'ambigua chiave fra il diavolo e il buon Dio. Ma la metafora della favola di Weir va più in profondità. L'assurda quotidianità di Truman non è tanto diversa da quella in cui è intrappolato l'uomo comune: una gara di costrizioni alle quali si potrebbe sottrarre, se solo sapesse o volesse. E' per questo che la bizzarra avventura assume alla fine quasi una connotazione epica e ci rende tanto partecipi; e la regia di Peter Weir, elegante, fluida, trova sempre il tono giusto in una miscela ispirata di divertimento e malinconia. Gli apporti tecnici sono eccellenti: la fotografia surreale di Peter Biziou, le belle soluzioni scenografiche di Dennis Gassner, i divertenti costumi senza tempo firmati da Marilyn Mattile ws. Tuttavia è chiaro che il cuore del film è Jim Carrey, stilizzato come un disegno, buffo come un cartone animato e poetico e fragile come un essere umano. Alessandra Levantesi Tra le scommesse vinte anche quella di aver fatto cambiare il passo al re della farsa Anni Novanta II cuore della storia è tutto nel suo protagonista buffo come un cartone, ma fragile e poetico Jim Carrey in una scena del film «The Truman Show», diretto dal regista australiano Peter Weir (nella foto in alto a destra)
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