QUEL VELO COPRE L'OPPRESSIONE di Fiamma Nirenstein
QUEL VELO COPRE L'OPPRESSIONE QUEL VELO COPRE L'OPPRESSIONE grom islamisti, e che eroicamente seguitano a combattere e a organizzarsi, sono le prime vittime designate di una possibile vittoria della barbarie estrema; il Pakistan promette nuovi guai per le donne, l'Iran ogni tanto affaccia flebili segnali di emancipazione che restano tuttavia strettamente separatisti. L'Arabia Saudita manda le donne a scuola, ma proibisce ogni forma di integrazione. Persino guidare è proibito. In generale, la rinascita islamista di questi ultimi anni ha ripristinato, anche laddove il nazionalismo a sfondo socialista aveva tolto il velo alle donne (nell'Egitto di Nasser) una serie di costumi terribili, come la clitoridectomia, la poligamia, l'uso del concubinaggio. Di tutto ciò è impossibile non vedere un simbolo nel ritorno nelle strade delle donne velate, o interamente coperte. Certo, sotto quel velo a volte può esserci una forte vo¬ lontà soggettiva: ma in età scolastica, chi può garantire che quella volontà giovanile sia rispettata e che non ci si trovi invece in presenza di un'invincibile pressione familiare? Possiamo anche immaginare che il chador sia simbolicamente pari a una crocetta d'oro al collo o a una kippà in testa, ma non è vero. Tra tutti i segni della rinascita musulmana esso è il più evocativo, il più significativo di una condizione di diseguaglianza che nessuna donna italiana può approvare. Il velo, lo si voglia o no, rappresenta anche un atteggiamento di disprezzo verso la nostra visione del rapporto tra i sessi. Di fatto l'odierna situazione pone invece questo problema: nel grande mescolamento delle popolazioni, resta valido per i musulmani il precetto dell'Islam inteso come stile di vita che trascende politica e religione mettendole insieme in un unico indivisibile. Cioè, l'opposto di ciò che facciamo noi, che seguiamo il precetto cristiano occidentale della separazione dei due Regni. Senza entrare in particolari, l'ingresso degli islamici in Europa non può prescindere dalla sua voca¬ zione proselitistica, e anche dal suo disprezzo «per un universo come il nostro materialista, sessuofilo, immorale, filosionista e filoamericano...». Nel momento in cui per la prima volta nella scuola ci accingiamo a un patto culturale formale, non possiamo con eccessivo orgoglio fidare nella nostra ecumenica volontà di integrazione ignorando l'interlocutore. E' finalmente arrivato il tempo di chiedere senza infingimenti ai nostri ospiti-interlocutori un dialogo franco non su temi ecumenici come il nostro comune padre Abramo, ma sui temi spinosi: la condanna a morte degli apostati e dei miscredenti, la condizione della donna, la jihad, la disponibilità teologica dell'Islam a consentire ai suoi seguaci di vivere in pace con cristiani ed ebrei. Esistono in Italia figure benemerite nei rapporti reciproci, come i padri scalabriniani e alcuni leader a Roma, che potrebbero avviare un dialogo spietato quanto utile. Intanto, niente chador a scuola: è simbolo di oppressione femminile e anche di scontro di civiltà. Fiamma Nirenstein
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