Poi l'ex Presidente osò dire «Amnistia per Tangentopoli» di Paolo Guzzanti

Poi l'ex Presidente osò dire «Amnistia per Tangentopoli» Poi l'ex Presidente osò dire «Amnistia per Tangentopoli» IL COMIZIO IL LEADER DELL'UDR TELESE TERME DAL NOSTRO INVIATO A tavola indossa una Lacoste celeste. E' stremato e quando gli chiedo se torna a Roma mi risponde: «No, torno a letto». Il grande comizio nel parco delle terme è finito. Il corteo..percorre cinquanta chilometri attraverso una folla francamente notevole e punta verso Ceppaloni fra monti e valli, fino a casa di Clemente Mastella su a San Giovanni che è come dire il nido del cuculo su per le montagne verdi e deserte dove se ti perdi puoi anche impazzire: cartelli stradali piegati, viandanti muti, benzinai zero. Io seguo, ma finisce la benzina, devio per la città e mi perdo ad Avellino nella calura domenicale, recupero il carburante, risalgo le colline delle forche caudine ed arrivo esausto e sudato a pranzo molto avanzato. Cossiga ha di fronte a sé a tavola (una tavola tipo ultima cena, ma più lunga e nessuno si alza per baciare Cossiga) Carlo Scognamiglio in un impeccabile abito di lino avorio, un Buttigliene all'inglese, Alessandro Meluzzi il deputato psichiatra vulcanico ex comunista ed ex berlusconiano con compagna molto graziosa e anche Titti la rossa, Tiziana Parenti (che odia essere chiamata Titti la rossa, ma tant'è, tutti la invocano così e lei sorride) anche lei uscita dalle fila di Forza Italia per farsi cossighiana. A chi lo chiama picconatore risponde sbuffando: «Uffa, non ne posso più di questo nomignolo. Fini invece del piccone usa il trattore ma nessuno lo chiama trattorista». L'ha detto anche al discorso finale, dove senza peli sulla lingua né sullo stomaco ha dichiaratamente pronunciato la parola impronunziabile: Amnistia. Amnistia per Tangentopoli, che non è stata un banale ancorché grave fatto di criminalità, ma la degenerazione della politica stretta nella morsa dei grandi finanziamenti occulti e illeciti dei partiti maggiori. Il cronista deve notare che nessun applauso ha accompagnato questa dichiarazione. Peggio: si sono sentiti due o tre tentativi di battimano, subito caduti in agonia. Ma lui ha pronunciato la parola in modo forte e chiaro: amnistia per Tangentopoli. A tavola il presidente non parla più di politica, corre dietro alle sue cavallerie nella storia e nella geografia, parla di sequestri sardi e ripete soltanto una battuta fondamentale del suo discorso: «Prodi è così negativo sull'ipotesi che noi possiamo votargli la finanziaria? E allora non ha che da firmare una polizza d'assicurazione anti-Udr: presenti come allegato alla finanziaria la legge sulle 35 ore e vedrà che gli passa la paura. I nostri voti non ci saranno e tutte le sue ansie, i suoi problemi, le sue remore andranno automaticamente in soffitta, fine del bau-bau, che dorma sonni tranquilli». Lo ha chiamato sempre l'amico Prodi. Tutti amici: l'amico Berlusconi, l'amico D'Alema («abbiamo in comune che ve niamo dalla politica di strada, ab biamo attaccato i manifesti con i secchi di colla mentre qualcun altro attaccava quadri d'autore con il maggiordomo in casa»), l'amico Fini e così via. L'amico Fini è quello che si è preso più torte in faccia. Secondo classificato, Berlusconi. Terzo, Prodi. A Berlusconi allude più volte descrivendo il girone di «coloro che trattano gli affari pubblici nelle case private e gli affari privati nelle case pubbliche». Ma benché abbia attaccato il Cavaliere con molti speroni, gli ha lanciato tuttavia una cima di salvataggio dicendo che «i casi giudiziari di Berlusconi non sono affatto i casi privati di Berlusconi, ma un caso grave dello stato della giustizia italiana. Vorrei vedere che cosa scriveranno gli storici di qui a cent'anni, quando noteranno che di tutti gli imprenditori italiani l'unico con 64 imputazioni e forse più, è anche quello che ha incarnato l'opposizione che è stato anche presidente del Consiglio». Bertinotti, non classificato nelle torte in faccia perché fuori gara. Ma è egualmente il convitato di pietra: se il segretario di Rifondazione è alla resa dei conti con Cossutta, ciò dipende da Cossiga. E non ha affatto torto, dal suo punto di vista, Achille Occhetto quando avverte i suoi che Cossiga è Ulisse, Cossiga se li mette tutti nel sacco, è maestro di tattica e ha la strategia lunga di un condottiero. E Cossiga ha ricordato che il suo rapporto con D'Alema è d'amore e odio, ma non ha citato Occhetto che hquidò molti anni fa come lo «zombie coi baffi». Tatti questi temi rimbalzano nei sussurri alimentari fra le due paste (fettuccine larghe al pomodoro e capellini ai frutti di mare), gli abbondanti secondi e la carica finale di una batteria di dessert, torte, cioccolati, frutta e gelati. La signora Sandra sorride soddisfatta e mi sussurra: «Sa quanti ne aspettavo oggi a tavola? Venti. E vede quanti sono? Quasi cinquanta». Sono a tavola tutti, politici smagriti come Cirino Pomicino e alcuni diplomatici, deputati e senatori, ma anche autisti e uomini di scorta, i ragazzini a parte a un tavolo tondo. Corrono pochi vini, molte caraffe d'acqua e ghiaccio, la temperatura è alta ma mitigata da un leggero vento, lo spettacolo di questo pranzo è da film, un grande film intitolato «Italian moments», perché di questa Udr tutto si può dire tranne che non sia un partito molto italiano, molto pa¬ triottico, molto orgoglioso senza essere nazionalista. Cossiga ha deplorato che Chirac abbia chiuso la porta in faccia della destra europea a Fini, trovandolo un gesto non solo violento, ma politicamente sbagliato: «La destra deve avere una casa comune ed europea, così da contenere le punte nazionaliste». Ed ha trovato anche il modo, Cossiga, di prendere le distanze dagli americani. Ha chiamato il riso e l'applauso dichiarando un po' goliardicamente di essere «totalmente dalla parte di Clinton perché tutti a scuola abbiamo avuto una compagna un po' porcellona» e poi ha respinto l'ipotesi di un intervento nel Kosovo: «Nel Kosovo ci auguriamo sinceramente che non si faccia alcun intervento militare, perché ogni intervento significa una perdita di vite umane. Ma più che altro perché un intervento militare senza aver prima fatto una scelta politica su che cosa si va a fare là, come e perché, non ha alcun senso». Postilla: la guerra fredda è finita, è finita anche la nostra ossequienza subalterna, siamo europei e decidiamo noi, discorso questo destinato a impressionare sia la destra che la sinistra. Altro punto importante, Bossi: «Mi viene a cercare, che venga. Mi vuole parlare, che parli. Io ascolto. Ma sono pronto a prendere a male parole chiunque si azzardi a criticarmi per questo: tutti hanno trovato Bossi meraviglioso, quando gli conveniva. Berlusconi ha vinto le elezioni del '94 con i suoi voti. D'Alema e gli altri lo hanno amato e vezzeggiato per il ribaltone, tutti lo cercano, tutti vorrebbero fare patti con lui, tranne noi: è lui che ci cerca e noi gli diremo che siamo un partito nazionale, che l'unità della Patria non si tocca e neanche si sfiora, e che detto questo, di tutto il resto si può parlare e nel mio caso si può ascoltare». Poi aggiunge con malizia, strette di mano e niente baci: non siamo nello Studio Ovale. Buttiglione lo abbraccia e altrettanto fa Scognamiglio, mentre Mastella organizza: sono loro quattro lo stato maggiore dell'Udr, il partito che per essere un neonato ha già fatto abbastanza rumore. E per fare rumore, tenere botta e reggere ogni giorno la prima pagina, Cossiga ha speso tutte le sue energie e la vitiligine è tornata ad imbiancargli i polsi. E' stanco, stremato. Ieri sera avevo tentato di convincerlo a venire al cinema Modernissimo a vedere «Sex Crimes», un giallaccio niente male. Ma aveva risposto nello stesso modo: «Sono stremato, non ho mai faticato tanto, sono veramente, veramente stanco». La signora Sandra Mastella gli porta uva e cocomero, melone e albicocche, lui spilluzzica. Mangia pezzetti, sognando un letto. Lo saluto e mi dice di essere un po' deluso da alcuni giornalisti che si inventano e gli mettono in bocca fra virgolette le più grandi scemenze e neanche chiedono scusa. Poi si fa largo nella platea degli ossequienti e dei plaudenti, e attraversato il giardino, imboccata la sala del pianoforte a coda con le foto di famiglia (e altro tavolo di invitati nella penombra) si avvia verso la stanza degli ospiti per sdraiarsi e prendere sonno. In breve si sparge nella magione la grande notizia: Cossiga riposa, il presidente dorme, abbassate la voce, andate a fare pipì nell'altro bagno, ancora un bicchiere di spumante? E' fresco anche se a quest'ora dà un po' alla testa, stia attento lei che deve guidare. Paolo Guzzanti «Bossi venga pure a cercarmi. Io ascolto Ma nessuno si azzardi a criticarmi: tutti hanno trovato meraviglioso il leader del Carroccio quando gli conveniva, ora tutti lo vorrebbero» Il fondatore dell'Udr Francesco Cossiga durante il suo intervento a Telese

Luoghi citati: Avellino, Ceppaloni, Kosovo, Roma, Telese Terme