Quando la sera si andava in sezione di Filippo Ceccarelli
Quando la sera si andava in sezione IL PALAZZO Quando la sera si andava in sezione UTTI e due siamo cresciuti nelle sezioni» ha detto ieri l'altro Cossiga per spiegare l'intesa (momentanea) con D'Alema. Ah, già: le sezioni... Chi se ne ricordava più delle vecchie sezioni, e della «base» - come non la chiama più nessuno - e degli anonimi militanti che giorno e notte affollavano quei luoghi così vivi e polverosi. Le sezioni: gelide d'inverno, bollenti d'estate, sempre terribilmente spoglie, una timida insegna sulla strada e dentro ritratti in bianco e nero, seggiole alle pareti, luce al neon, un tavolo verniciato di marrone come banchetto della presidenza, le bandiere in un angolo, il telefono neanche a parlarne... Poco più di un ricordo, ormai, per giunta relegato in un tempo remoto e indistinto che tuttavia unifica due generazioni tanto lontane, il settantenne Cossiga e il 49enne D'Alema. Dalle sezioni, continua l'elegia cossighiana, «siamo partiti tutti e due con la colla e il pennello ad attaccare manifesti...». La colla, il pennello. Immagine anche questa inesorabilmente d'altri tempi, preziosa civetteria d'artigianato partitico, d'antiquariato militante. Addio. Perché purtroppo non esiste alcuno studio socio-politico, in pratica nessuno l'ha comunicato, forse nessuno se n'è neppure accorto, ma da tempo le sezioni non esistono più. Messe fuori servizio dal Costanzo Show, divenute infrequentabili nell'era dell'immagine. Chiuse, abbandonate, vendute, trasfonnate in jeanserie, paninoteche, sale di videogames, agenzie immobiliari. Eppure ce n'erano migliaia, sparse per tutta Italia, più o meno dedite all'«educazione» delle masse, alla raccolta capillare dei voti, allo svago. Senza eccessive distinzioni ideologiche - come si comprende solo adesso nelle sezioni dei grandi partiti ci si sposava, si trafficava con le tessere, si cucinavano gli gnocchi, si partiva per i funerali, si giocava a carte. Alcune (la «Togliatti» di Milano-Garibaldi, su cui esiste un saggio di Giorgio Colorni, Storie comuniste) sto¬ riche; altre semplicemente leggendarie. Come in un vero rito, e quindi senza foto, la mattina delle elezioni Enrico Berlinguer passava nella sezione di Ponte Milvio a ritirare la lista dei candidati da «bloccare»; quindi stringeva la mano ai compagni del «direttivo» e si congedava con un sobrio: «Al lavoro, alla lotta!». Fino a una dozzina d'anni fa, nella sezione de dell'Avvocata, a Napoli, ci si poteva far mostrare il cesso entro cui fu chiuso a chiave (dall'esterno) nientemeno che Antonio Gava, durante un congresso nu' poco agitato. Così come, sempre sul piano delle suggestioni mitiche, e in questo caso perfino archeologiche, Gianfranco Fini ricorderà sicuramente la sezione missina di Colle Oppio, ricavata in un'antichissima caverna nei pressi della Domus aurea e resa ancora più oscura da gagliardetti neri, labari con teschi ed altre necrofilie neofasciste. Tutto questo non c'è più, o non conta più niente. Come non serve più a nulla - ma guai a dirlo - il militante di base, credulone e credente, che ancora non riesce a dare un senso alle hostess sul palco di Telese o alle raffinatezze gastronomiche del festival dell'Unità. Nessuno ha il cuore di spiegargli che quel che conta, oggi, è il pubblico indifferenziato dei telespettatori, l'ingegneria del consenso, il governo degli eventi, delle emozioni, dei sondaggi, del marketing, della visibilità. Per cui, certo che Cossiga e D'Alema sono cresciuti nelle sezioni. Ma forse è ancora troppo presto per capire se ne sentono davvero la mancanza. Filippo Ceccarelli fj
Luoghi citati: Italia, Milano, Napoli, Ponte Milvio
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