Vino, ruggisce la concorrenza
Vino, ruggisce la concorrenza Vino, ruggisce la concorrenza «Ci vuole più flessibilità per vincere la sfida» ROMA. Il mercato è globale e la competizione si allarga: il vino italiano ha di fronte concorrenti nuovi ed agguerriti, ma la nostra viticoltura è lenta a reagire alle sfide. Michele Bemetti è responsabile per i mercati esteri della Umani Ronchi, un'azienda marchigiana che ha il suo punto di forza proprio nell'export: un suo vino, il Pelago '94, è stato giudicato all'International wine challenge di Londra «il miglior rosso del mondo» e in Svezia la Umani Ronchi è stata premiata con il titolo di «Cantina dell'anno 1997», una sorta di Nobel dell'enologia. Sulla base di queste esperienze Bemetti descrive lo stato dell'arte del nostro mercato vinicolo. «I bianchi, sono in sofferenza, sia in Italia, sia all'estero - dice -, in Giappone, ad esempio, il mercato, da una spiccata predilezione per i bianchi è passato ad un equivalente consumo di rossi. Ha giocato molto la spinta salutistica che ha avuto un grande seguito sul cliente medio. Sui mercati esteri l'export di rossi ha avuto una crescita dal 10 al 20%, la nostra azienda in due anni ha aumentato la quota addirittura del 35%». Ma perché meno bianchi? «Ci sono molti fattori, quello salutistico a cui ho già accennato, ma anche la moda, il cambiare dei gusti. Reggono vini come, ad esempio, il Verdicchio, perché, dopo il boom degli Anni 50-60 e il successivo calo, ha saputo rinnovarsi. Insomma il futuro del bianco è nei prodotti selezionati, con maggior personalità». Ecco l'obiettivo e insieme la difficoltà: fornire vini di livello medio-alto, in volumi consi¬ stenti. Soprattutto per tamponare l'assalto della nuova concorrenza, come Australia, Sud America, Sud Africa. La difficoltà dipende dal fatto che per tutto ciò ci vuole la materia prima: l'uva. «Negli ultimi tempi i vigneti italiani - spiega Bernetti - erano impostati per dare prodotti di facile beva, invece la formula vincente oggi è: vigneti nuovi, con minor produzione e più personalità. Ma per cambiare bisogna investire». Il responsabile export della Umani Ronchi condivide le previsioni secondo cui il futuro del vino italiano viaggerà su un doppio binario. Da una parte una linea di «macrocategorie», come cabernet o merlot facilmente riconoscibili dai consumatori e adattabili ad ogni parte del mondo; dall'altra, questo nel lungo termine, i vitigni tradizionali, che ci differenziano da tutte le altre produzioni. «Sul secondo punto siamo ben posizionati - spiega Bernetti -, ma abbiamo decisamente trascurato il primo binario: in Italia non si sono trasformate zone viticole con vitigni poco meritevoli, che avrebbero benissimo potuto essere sostituiti con produzioni adatte al gusto internazionale. Non c'è niente da fare, su questa strada siamo indietro ed ora pedaliamo in salita, soprattutto nei confronti di Paesi con manodopera a basso costo e terreni vergini. La ricetta per rimontare - conclude - è la flessibilità aziendale: non si vende tutta la vita lo stesso vino. Poi si deve puntare su prodotti leader, mentre, dallo Stato e dall'Unione Europea, bisognerebbe che venissero meno lacci e vincoli». [v. cor.] Michele Bernetti (a sinistra) con il padre Massimo titolare della Umani Ronchi
Persone citate: Bernetti, Michele Bemetti, Michele Bernetti, Umani Ronchi
Luoghi citati: Australia, Giappone, Italia, Londra, Pelago, Roma, Sud Africa, Sud America, Svezia
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