Una sera a Broni sull'Intercity di Lorenzo Mondo
Una sera a Broni sull'Intercity Una sera a Broni sull'Intercity NTERCITY BolognaTorino delle 19,02. Si parte con pochi minuti di ritardo, ed è una festa. Lo scompartimento di prima classe è accogliente, non risente delle pittografie che invadono le fiancate delle carrozze e che rappresentano, per molti turisti, il primo saluto del suolo italico. Almeno qui dentro vien voglia di strizzare l'occhio - siamo tra noi. Si apprezza il viaggio in treno, la possibilità di conversare con il vicino, di prendere appunti o leggere un libro. Di rilassarsi, senza essere costretti a guerreggiare sull'autostrada impugnando il volante. Virtuosi proponimenti per il futuro, sul riscatto definitivo della strada ferrata che corre parallela alla fascia di ozono... A metà strada, il treno rallenta come una gomma che si sgonfia, si ferma stronfiando. Fuori, nell'aperta campagna, è la tregenda, un temporale che sguinzaglia lampi all'intorno e butta contro i finestrini secchiate d'acqua. Che non bastano, presumibilmente, a fermare un treno. Cosa sarà mai? Un guasto al locomotore, un fulmine, un calo di tensione? Passano di fretta duecontrollori verso la testa del convoglio, fra poco ci diranno. Arrivano altri due ferrovieri, farfugliano qualcosa sui segnali che sono saltati, scartabellano un elenco telefonico vergato a mano. «E' il capo stazione di Broni?». No, non è lui, ha sbagliato numero. Altre chiamate impazienti e, all'apparenza, inconcludenti, a Voghera, a Pavia. 1 passeggeri si alzano a sgranchirsi le gambe, chiedono notizie: quelli rispondono affabilmente che ne sanno quanto noi, bisogna pazientare, c'è gente che traffica da qualche parte per farci partire... Vengono in mente spiritosaggini, provocazioni fanciulesche. Sarà un sequestro in grande stile, altro che Barba¬ a i gia o Sila. Sarà un assalto al treno, arriveranno magari quei pellerossa che hanno dipinto sulle carrozze i loro segnali totemici. Ormai è trascorsa mezz'ora, e lo stupore, la fatua disinvoltura, cedono all'irritazione stanca. Sta montando una suoneria di chiamate e risposte per via cellulare. «Non lo so, cara, proprio in questo momento ci dicono qualcosa»: un raschio dal megafono, e poi una voce annuncia che sul treno c'è un servizio ristorante, insiste ghiottamente sui panini caldi. Una signora commenta acida: «Era meglio la musica sul Titanic». Un bambino frigna, fuori è sempre pioggia. Qualcuno arriva dal bar con scortedi acqua minerale. L'effetto è deprimente, come se prevedessero di passare la notte nella piana di Broni. La voce, educata, ripete a intervalli l'offerta di panini caldi e caffè. Quando ormai si dispera, quando Alessandria, Asti, Torino sembrano luoghi leggendari perduti nella vastità della notte, il treno ha un sussulto, si muove. Riparte - prodigio così come si era fermato, senza apparenti ragioni. Come se ubbidisse agli ordini di un destino inappellabile e, alla lunga, schifato. Si scende dopo quattro ore e mezzo invece di tre. Al prezzo di 140 mila lire andata e ritorno: non è una bazzecola, ma bisogna mettere sul conto quell'ora e mezzo in più passata in treno, grazioso omaggio delle Ferrovie dello Stato ai valorosi utenti. Lorenzo Mondo doj
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