Golino: vorrei un figlio da crescere con fantasia

Golino: vorrei un figlio da crescere con fantasia DUE ATTRICI A CONFRONTO Golino: vorrei un figlio da crescere con fantasia VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Ragazze alla Mostra: chiamarle dive suonerebbe ridicolo e offensivo per loro, che non lo sono, e per le dive che fanno fatica per esserlo. Una è tedesca; ha 24 anni; è l'interprete del film in concorso «Lola corre» che in quindici giorni in Germania ha fatto più soldi di «Armageddon» al suo Paese; si chiama Franka Potente, per via di un bisnonno italiano che le ha regalato il cognome e di una suora altrettanto italiana, infermiera nell'ospedale dove la madre l'ha messa al mondo, che le ha dato il nome con la variante della k. L'altra è italiana; di anni ne ha 32; è la protagonista di «L'albero delle pere» altrettanto in concorso; si chiama Valeria Golino, ma ha una madre greca che le ha dato due occhi dello stesso colore del mare di Omero e un padre intellettuale che l'ha abituata ad andare per il mondo, tant'è che da nove anni si divide tra Roma e Hollywood. Franka Potente, vista sulla terrazza dell'Excelsior, non somiglia affatto alla Franka Potente vista sullo schermo: là ha un caschetto di capelli rosso mogano, un corpo muscoloso e palestrato, una faccia dura e derminata; qua ha un nodo di capelli castani, giacca e pantaloni damascati come gli hippy di un tempo, languide mani che carezzano collo e spalle di Tom Tykwer, il bel regista di «Lola» con il quale, al momento, fa coppia. Valeria Golino, vista nella confusione di un pranzo alla Pagoda Des Bains, è, invece, identica alla Valeria Golino vista nel casino del suo appartamento cinematografico di «L'albero delle pere»: ricciolone scuro a mangiare il viso, abbronzata, grande bocca amara, magliettina risicata sul corpo infantile. Nonostante in questo film non faccia altro che attraversare correndo la città di Berlino come fosse una atleta di professione, Franka Potente dichiara di non praticare alcuno sport se non un po' di pallacanestro, anzi, addirittura di esser stata scelta perché l'energia sprigionata dal suo corpo somigliasse il più possibile a quello di una ragazza normale: «Purtroppo fumo e correre dopo aver fumato non è l'ideale». Fuma tanto? «Abbastanza. Se son tesa di più. E sul set lo ero». Sette o otto titoli alle spalle tra cinema e tv, la capacità di acchiappare l'attenzione dello spettatore e non mollarla mai, una gran voglia di scrollarsi di dosso l'immagine da ragazzina perbene che arriva in città dalla provincia e diventa vittima della metropoli cucitale addosso dalla sua biografia personale e dal suo primo successo cinematografico, oggi sostiene di esser pronta a far tutto. A Venezia, nella sezione Prospettive, sfilerà con «Bùi ich schon?» di Doris Dòrrie, dove è una autostoppista disinvolta che si finge sordomuta con gli uomini, finendo così per ascoltare da loro confessioni intime e aspirazioni porcellesche, senza esser costretta a un commento. Adesso è una poliziotta addetta al controllo di un centro commerciale in un film durissimo dove dovrà far fuori a colpi di pistola un buon numero di malviventi. Poi sarà di nuovo, con Tom Tykwer, in un giallo da preparare, nella speranza di diventare, insieme a lui, la nuova coppia fissa del cinema tedesco. E gli incassi travolgenti di «Lola», in Germania, come li spiega? «Ai giovani piace il film perché è costruito come un video-game ma non è un video-game. E piace Lola perché è pragmatica, curiosa, appassionata, piena d'amore, senza paura». I ragazzi tedeschi sono così? «Tutt'altro, ma vorrebbero esserlo. Nati con il cancelliere Khol temono di invecchiare con lui e si scoraggiano». Lei le somiglia? «Nel pragmatismo. A 16 anni mi ero innamorata di un ragazzo che viveva in America: per pagarmi le telefonate arrivai a fare cinque lavori insieme. Io non mi arrendo». Valeria Golino, che fino ad oggi non ha voluto figli anche se al cinema più volte le hanno fatto fare la madre, e qua, ne «L'albero delle pere», è una mamma post-movimento del '77, scombuiata, inaffidabile, un po' drogata, ma tenerissima e fantasiosa, confessa che, da qualche tempo, ha cominciato a pensare di volere un bambino. «Sto da molto, ormai, con Fabrizio Bentivoglio, ho passato i trent'anni, finalmente mi sento meno figlia che in passato, forse potrei perfino assumermi il ruolo di genitore. Anche perché, quando Francesca Archibugi mi ha presentato quello spilungone di 14 anni che nel film fa mio figlio, mi sono spaventata e ho fatto due calcoli per convincermi che, davvero, avrei potuto averne uno tanto grande». E che madre sarebbe? «Non lo so. La mia era una pittrice: affettuosa e distratta. Oggi non fa niente e vive di rendita». La droga le fa paura? «No, perché non soffro di dipendenze. E poi che vuol dire droga? C'è quella di Castaneda che apre a esperienze intellettuali e c'è lo spinello che è ormai un consumo di massa. Non è la droga a spaventare: è l'uso che se ne fa». Anche Valeria Golino, a Venezia, ha un secondo film, «Side streets» di Tony Gerber, dove interpreta una giovane stilista nella più brutta giornata della sua vita. Simonetta Robiony Potente: la mia «Lola» va di corsa e ha travolto i giovani tedeschi perché è pratica, piena d'amore la sua storia è come un videogame Valeria Golino assieme alla Archibugi durante una pausa del film «L'albero delle pere» Foto grande sopra: Michael Douglas arriva al Lido di Venezia