MAYA di Liliana Madeo

MAYA Seicento pezzi di altissimo valore raccontano tremila anni di storia: si apre oggi a Palazzo Grassi la mostra organizzata dalla Fiat MAYA La civiltà del mistero VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Appena si entra a Palazzo Grassi e si incomincia a visitare la mostra «I Maya» da domani aperta al pubblico, subito si capisce l'emozione e lo stupore che devono aver provato i primi europei quando arrivarono in quel continente immerso fra foreste, montagne, aride pianure, animali sconosciuti, vegetazione tropicale, e scoprirono i segni di una strana civiltà, la presenza di enormi edifici, misteriosi intarsi, indecifrabili sculture. Opere gigantesche. Spesso ricoperte da una coltre di terra. Forse da tempo abbandonate dagli stessi uomini che le avevano volute. «Una città così grande che Siviglia non sarebbe parsa più importante o più bella; e lo stesso giorno arrivammo a una spiaggia vicino alla quale c'era la torre più alta che avessimo visto» scrisse lo spagnolo Juan de Grijalva, capitato nel 1518 sulla costa orientale dello Yucatan. E non meno forte deve essere stato lo choc dei primi europei che entrarono in contatto con i Maya, nel 1511, sbattuti da una tempesta sulla stessa costa e scampati alla morte soltanto in due: uno di loro sarebbe stato poi arruolato come interprete da Hernan Cortes, l'altro invece si integrò talmente da non voler più tornare fra gli spagnoli. Era appena l'inizio di un'avventura che ancora non è finita. Proseguita via via con gli spagnoli che scoprivano quel mondo e - insieme con i missionari impegnati in una feroce opera di cristianizzazione lo distruggevano, lo umiliavano, abbattendo i regni, sterminando i ceti alti della popolazione, distruggendo codici, culti religiosi, testimonianze scritte. Un impatto problematico continuato nei secoli, via via che l'Occidente a partire dal '700 si metteva a studiare la cultura maya riconoscendola come importante alla pari delle altre grandi culture dell'antichità, e lavorava per decifrare misteri che ancora adesso sono da scoprire, su cui studiano epigrafisti, antropologi, storici delle religioni, archeologi, glottologi, storici dell'arte, specialisti latino-americani, Usa e del vecchio continente. Anche l'«incipit» della mostra di Palazzo Grassi, organizzata dalla Fiat, turba e sconcerta. Stele gigantesche e sculture che appaiono un inestricabile groviglio di corpi per prime vengono incontro al visitatore. Grandiose, cariche di mistero. Raffigurazione di miti a noi sconosciuti, di tensioni ideali di cui non conosciamo l'origine. Il percorso dell'esposizione di continuo affa- scina e solleva il desiderio di saperne di più. Si meomincia con alcune sale dedicate agli animali che popolavano i cieli e la foresta di quell'enorme territorio. Animali in terracotta, in gesso, argilla. Incensieri, recipienti della quotidianità. Belli, spesso dalle forme e dai colori fantasiosi. Importanti perché ci testimoniano il rapporto fra i Maya e la natura, il dialogo fra l'uomo e lo spirito delle piante, dei fiori, dell'acqua, delle valli. Nel corpo degli animali selvatici si pensava risiedesse la parte irrazionale e mortale dello spirito umano. Una relazione, quella fra ogni individuo e il suo «animale compagno», che era cari- ca di mille sfumature: gli animali notturni e i più potenti - come giaguari, puma, pipistrelli, serpenti venivano considerati i compagni dei grandi sciamani, dei governanti, mentre ai piccoli animali del monte - come il coniglio, lo scoiattolo, gli insetti - spettava accompagnare durante la vita gli uomini più deboli e umili. Ma a lungo ritorna il tema del ciclo vitale terra-cielo, dell'armonia fra viscere del suolo e dimensione divina. L'uomo maya si sentiva protagonista del cosmo e con tutti gli esseri viventi voleva essere in sintonia. Anche con la divinità, che alimentava con la sua forza vitale e che ogni giorno faceva sopravvivere. Ecco le stele che celebrano un personaggio potente, ma sono anche l'albero della vita che regge il cielo e mette in contatto con il soprannaturale, trasmette l'energia sacra attraverso i diversi livelli del cosmo. Ecco il gioco della pelota, con i giocatori dal capo ricoperto di piume e il corpo imbottito per far rimbalzare la palla senza toccarla né coi piedi né con le mani, che è anche il gioco della rigenerazione con i giocatori che propiziano il percorso del sole attraverso il movimento della palla. Ecco sulle parti superiori dei templi i bassorilievi che dispensano vita all'intera comunità, per lo più dipinti di rosso, il colore della vita e della sacralità. Raffigurazione realistica e significato simbolico di continuo si eseguono. Spesso la tentazione è quella di ammirare soltanto le fattezze delle opere in mostra, come nelle sale in cui si visita il rapporto fra potere politico e aree urbane, rituali di culto e di guerra. Qui le sculture dei «grandi signori» hanno un nitore assoluto. Rinviano alle opere dei grandi dell'arte moderna. Ma quelle pietre ci narrano anche storie romanzesche. Due degli architravi che sormontavano mi tempio di Jaxchilàn, in Messico (il terzo si trova al British Museum), hanno per protagonista un re dell'VTII secolo d. C. Si chiamava Uccello Giaguaro. Prima sequenza: è con la prima moglie, che gli porge una testa di giaguaro, i segni e l'augurio del potere. Seconda inquadratura: la moglie è cambiata, questa si è trafitta la lingua con spine di agave e fa colare il sangue fra foglie di acanto ai suoi piedi, il tutto verrà bruciato e offerto agli dei per donare loro energia e ottenere - in cambio - benevolenza verso il sovrano. Nella terza inquadratura la seconda moglie ha, come premio, una visione: dal fumo di quel sacrificio sbuca un antenato del re, molto nobile, molto potente, a conferma della sua autorevolezza. Tremilaquattrocento anni di storia scorrono attraverso i 600 pezzi esposti. Vengono dai quasi quattrocento chilometri quadrati che furono l'area maya. Ma non solo. Ci sono anche reperti, alcuni bellissimi, provenienti dalle vicine città di Tuia e Teotihuacan: ci confermano che tante e di alto livello furono in quella fetta di mondo le civiltà antiche, e che fra loro c'erano visite diplomatiche, scambio di doni fra sovrani, opere commissionate per uso propagandistico, copie furbesche dei modelli più raffinati. Liliana Madeo Gigantesche sculture e animali in terracotta celebrano l'armonia fra l'uomo e l'universo Inventarono il calendario solare, nutrivano gli dei con sacrifici umani

Persone citate: Hernan Cortes, Uccello Giaguaro

Luoghi citati: Messico, Usa, Venezia