Paura a Parigi, alla sburro 138 islamici di Aldo Cazzullo
Paura a Parigi, alla sburro 138 islamici francia w Il sindacato dei magistrati: «Procedimento di massa totalmente estraneo all'idea stessa di giustizia democratica». Paura a Parigi, alla sburro 138 islamici // primo maxiprocesso, imputati legati alt integralismo algerino PARIGI DAL NOSTRO INVIATO Nell'immenso Palazzo di Giustizia di Parigi, sull'Ile de la Cité, non c'era un'aula abbastanza grande. Scartata la folle idea di erigere un tendone di fronte alla Sainte-Chapelle, è occorsa una legge speciale per trasferire corte e imputati in una palestra vicino al carcere di Fleury-Mérogis. Eppure anche l'udienza di ieri del più grande processo mai intentato al terrorismo islamico è andata deserta. Gli imputati e i loro avvocati rifiutano di presentarsi in aula. Il primo maxiprocesso della storia di Francia (alla sbarra i 138 membri della «rete Chalabi», accusati di aver armato e protetto i killer del Già) è diventato un caso giudiziario e politico che divide il Paese. «Nome?». «Chalabi Mohammed». «Nazionalità?». «Musul¬ mana». «Ci risulta che lei sia algerino». «Il mio Paese è l'Islam». Con una dialogo da teatro dell'assurdo si' è aperta martedì la prima udienza. Giovedì, ultimo giorno di presenza in aula, Mohammed Chalabi, capo della rete, ha insultato i giudici e definito «folle» JeanLouis Bruguière, detto l'Ammiraglio, padre dell'inchiesta. La pensano allo stesso modo i quaranta avvocati: sono usciti dall'aula e non intendono tornarci. Accusano il giudice Bruguière «di aver voluto inviare, d'intesa con ambienti politici, un segnale forte di sostegno al governo algerino, criminalizzando gli integrahsti francesi ed equiparandoli a terroristi». L'istruttoria conta 100 tomi e 35 mila pagine: «Il nostro lavoro è praticamente impossibile denunciano gli avvocati -, né si riesce a distinguere le posizioni processuali dei nostri assistiti». Alcuni degli arrestati, come Adel Dehane, hanno fatto otto mesi di carcere preventivo, prima di essere scagionati. Alla protesta degli avvocati si è aggiunta quella del sindacato dei magistrati, che parla di «giustizia speciale anti-terrorismo» e di «diritti della difesa violati» da un «processo di massa totalmente estraneo all'idea stessa di una giustizia democratica». «Come stabilire le responsabiiità individuali quando si portano in tribunale 138 persone?», si interroga «Le Monde», mentre «Liberation» scrive di «un Titanic giudiziario». Il processo si è aperto in un clima di tensione surreale. Agenti armati di fucile a pompa, telecamere ovunque, un minaccioso pubblico di chador e barbe nere (e di giornalisti), e gli imputati in una gabbia protetta da vetri antiproiettile. «Questa è un'operazione politica, un simulacro di giustizia», ha dichiarato, prima di guidare l'uscita dall'aula, il difensore di Mohammed Chalabi (e già avvocato del terrorista Carlos), Isabelle Coutant. La «rete Chalabi» è in realtà composta da tre organizzazioni diverse. La prima, nata attorno a una scuola coranica, serviva da supporto logistico per reperire e custodire armi ed esplosivi. Il secondo gruppo era incaricato di nascondere i latitanti e di fornire documenti falsi. Il terzo si occupava del finanziamento. Affiora un mondo cresciuto all'ombra degli «Hlm», i grattacieli delle banlieue, e nei garage trasformati in moschee, dove l'integralismo attecchisce tra i figli sradicati dell'immigrazione, che rifiutano la moderazione del capo della comunità islamica, il rettore della moschea di Parigi Dahl Boubakeur. Anche per questo il processo incide su una ferita aperta della società francese. Aldo Cazzullo
Persone citate: Adel Dehane, Chalabi, Chalabi Mohammed, Chapelle, Dahl Boubakeur, Fleury, Isabelle Coutant, Mohammed Chalabi
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