Sgarella, la libertà unica certezza

Sgarella, la libertà unica certezza Locri: molte indiscrezioni avvalorano la strada del pagamento miliardario per la fine Sgarella, la libertà unica certezza Famiglia e magistrato: «Non è stato pagato nulla» REGGIO CALABRIA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE E' stato pagato o no il riscatto? E' uno degli interrogativi che si snodano lungo la strada buia che nelle prime ore di ieri Alessandra Sgarella, 40 anni, ha percorso verso la libertà. L'unica certezza è che, dopo 266 giorni nelle mani dell'Anonima, l'imprenditrice milanese, sequestrata a Milano l'I 1 dicembre scorso, ha citofonato poco prima dell'una e mezzo dell'altro ieri notte all'abitazione di un tecnico radiologo di Locri, Salvatore Caruso. Un'abitazione che si trova in una frazione a Moschetta. Alessandra Sgarella ha spostato le foglie della pianta che coprono in parte il citofono, ha atteso che qualcuno rispondesse (è stato il padrone di casa, ancora in piedi «perché guardavo la tv»), e ha chiesto di una cabina telefonica nei paraggi, dicendo di essere rimasta con l'auto in panne. «Nella zona - le ha risposto Caruso - non ci sono cabine, se vuole può accomodarsi e utilizzare il nostro telefono». Varcato il cancello, la Sgarella - pantaloni scuri, maglietta bianca e una borsa a tracolla - si è ritrovata davanti a Caruso: «Mi ha detto che non intendeva causarci disturbo, che era Alessandra Sgarella, reduce da un sequestro, e che aveva bisogno di fare una telefonata... L'abbiamo lasciata sola, poco dopo è arrivata la polizia e sono andati via». In casa Caruso le hanno offerto un caffè, un bicchiere d'acqua, hanno scambiato qualche parola. A chi abbia telefonato non si sa. Forse al marito, forse a un investigatore che aveva seguito il suo caso, ma non è ancora chiaro, visto che se avesse voluto formare il «113» non avrebbe avuto bisogno di consultare un'agendina, come ha fatto. Dalla frazione la «volante» è scivolata lungo la statale 106 fino al commissariato di Siderno. Qui l'incontro con il marito, Pietro Vavassori, un primo contatto con gli investigatori (avrebbe raccontato di aver camminato in zone di montagna, insieme con i sequestratori, e poi di aver percorso un tratto accovacciata in un'utilitaria, prima di essere lasciata sola) e, dopo meno di un'ora, la partenza per Reggio Calabria, in questura. Che ci faceva Vavassori a Siderno già da qualche giorno? Solo perché «aveva percepito qualcosa» nell'atteggiamento degli investigatori, come ha detto, prima di rinviare di una settimana ogni altra dichiarazione? E c'è un'altra circostanza che alimenta il mistero sulle modalità del rilascio: chi erano gli occupanti della Bmw che un quarto d'ora dopo che la Sgarella aveva lasciato la frazione Moschetta hanno suonato il clacson sotto casa Caruso, chiedendo ai proprietari dove fosse la «signora», e, avendone ricavato che era stata già portata via, hanno ringraziato e se ne sono andati? Secondo la polizia, a bordo ci sarebbe stato il marito. Tanti interrogativi, a cui la Sgarella e il marito - che hanno risposto per pochi minuti, in questura, ai giornalisti - sembravano disinteressati. Anche perché - ha detto Vavassori - «Tu- nica cosa che conta è che mia moglie è tornata». Di fronte ai reporter, che avevano raccolto voci di un riscatto tra i 4 e i 7 miliardi, ma smentite dallo stesso imprenditore e dal sostituto procuratore di Milano Alberto Nobili, precipitatosi in Calabria con i vertici dello Sco, Alessandra Sgarella e il marito si sono abbandonati più di una volta in un tenero abbraccio. Poche parole, quelle dette dalla Sgarella in conferenza stampa, alla presenza del questore di Reggio, Franco Malvano, e dei vertici provinciali dei carabinieri. Parole accompagnate da un'efficace mimica, in un volto comunque provato, che conferma le parole di Vavassori, secondo cui la moglie «ha sofferto di gravi coliche renali». Un fatto - ha detto - che avrebbe indotto i sequestratori ad accelerare il rilascio. «Dopo 266 giorni sono qui», ha detto la Sgarella. Non è stata una bella esperienza, non sono stata trattata male», ha detto tutto d'un fiato: «Però penso che i miei familiari siano stati peggio di me. L'idea di poterli rivedere è quella che mi ha tenuto in vita e mi ha dato la forza di reagire... Sono molto stanca, non vorrei che mi sequestraste di nuovo anche voi giornalisti», ha concluso con un sorriso. Nel pomeriggio la partenza da Reggio per far tappa a Milano e abbracciare i genitori a Domodossola. «Alessandra sta bene, ma su questa vicenda non posso dire nulla», ha dichiarato Ermanno Bona, l'amico di famiglia scelto come intermediario per trattare con i rapitori. Rocco Valenti «Un ostaggio passa di mano quando diventa remunerativo, cioè viene pagato parte del riscatto: cosa che non risulta» «Anche questi elementi appartengono al clan dei Lumbaca: hanno ceduto perché ormai li assediavamo da giorni» I Alessandra Sgarella poche ore dopo la liberazione A sinistra durante la conferenza stampa nella questura di Reggio Calabria: la donna è accanto al marito, Pietro Vavassori. Alle spalle dell'uomo il pm di Milano, Alberto Nobili, che ha coordinato le indagini sul sequestro