«Nessuna pressione su Lombardini»

«Nessuna pressione su Lombardini» RETROSCENA LA «MEMORIA» DELLA PROCURA DI PALERMO «Abbiamo invitato il giudice di Cagliari a offrirci ogni elemento a suo favore» «Nessuna pressione su Lombardini» Ecco ['«autodifesa» di Caselli LROMA A verità dei fatti è ben diversa da quella che si è cercato di accreditare da parte dei diretti interessati». E' una premessa, e allo stesso tempo una conclusione, che i magistrati della procura di Palermo scrivono a chiare lettere nella relazione inviata al ministro della Giustizia e al Csm sul «caso Lombardini». Un documento redatto due giorni dopo il drammatico suicidio del giudice sardo indagato per estorsione - al termine dell'interrogatorio condotto da Gian Carlo Caselli e gli altri pm del pool mentre sui giornali infuriavano le polemiche e le accuse contro la procura siciliana. Si tratta di un'autodifesa inviata a Roma per chiarire come si sono svolti i fatti dell' 11 agosto scorso, ma anche per riferire tutto ciò che era stato raccolto a carico degli indagati (Lombardini, gli avvocati Garau e Piras, l'editore Nichi Grauso) attraverso «un'intensa, complessa ed approfondita attività investigativa» svolta per «ricostruire la vicenda della liberazione di Silvia Melis». Sul tavolo del ministro Flick e del Csm c'è però anche un'altra relazione, quella del procuratore generale di Cagliari Francesco Pintus, il quale mette in dubbio la correttezza dei colleghi palermitani per quanto riguarda la perquisizione dell'ufficio di Lombardini, decisa al termine dell'interrogatorio in assenza dell'avvocato difensore del giudice. E allora conviene cominciare la lettura del documento della procura di Caselli dal fondo, dove si riferisce, appunto, al dopo-interrogatorio. Finite le domande i pm invitano «esplicitamente» Lombardini «a fornire qualsiasi ulteriore elemento a sua difesa che potesse essere oggetto di approfondimento investigativo». Dopo essersi consultato col suo avvocato, il giudice disse che non aveva nulla da aggiungere a quanto già dichiarato, riservandosi di presentare una memoria difensiva. «Veniva quindi chiuso l'interrogatorio alle ore 16,40 - scrivono i pm -, e si procedeva alla redazione del verbale in forma riassuntiva, che veniva sottoscritto alle ore 18,30. L'Ufficio, al fine di valutare riservatamente quali fossero le più opportune modalità per l'acquisizione, ritenuta processualmente necessaria, delle agende personali e di altra documentazione (anche su supporto informatico) verosimilmente in possesso del dott. Lombardini, chiedeva a quest'ultimo e al suo difensore di trattenersi ancora una decina di minuti. I sottoscritti, alla fine di una breve riunione, apprendevano che l'avvocato Concas (difensore di Lombardini, ndr) si era tuttavia allontanato, dopo pochi minuti, per suoi impegni professionali. Alle ore 19 circa veniva, pertanto, formalmente notificato al dott. Lombardini un decreto con il quale ritualmente si disponeva, previa richiesta di esibizione e in difetto di spontanea consegna della documentazione sopra indicata, la perquisizione dell'ufficio e dell'abitazione del dott. Lombardini». Dunque gli inquirenti, con il loro provvedimento, chiedevano a Lombardini di consegnare spontaneamente i documenti che cercavano. Il giudice aveva in precedenza negato di possedere agende, ma non aveva ancora detto se intèndeva comunque consegnare o far vedere qualcosa ai suoi colleghi. «Tale decreto prosegue la relazione - veniva visionato anche dall'avv. Pierluigi Concas, figlio del summenzionato avv. Luigi Concas, che era stato raggiunto telefonicamente dallo stesso dott. Lombardini e che dopo un breve lasso di tempo lo aveva raggiunto negli uffici della procura. Si procedeva, quindi, all'esecuzione del predetto provvedimento». Ma entrando nel suo ufficio in compagnia dei pm Ingroia e Di Leo, Lombardini (che non aveva chiesto di aspettare che tornasse l'avvocato Concas) s'è chiuso a chiave nella stanza e s'è sparato. Fin qui la ricostruzione dell'ultimo atto di quella tragica giornata. Ma nelle pagine precedenti, i magistrati di Palermo riassumono tutto quanto avevano rac¬ colto a carico di Lombardini e degli altri indagati; una quantità di elementi che li aveva portati a interrogare il giudice nonostante il periodo feriale, «previa autorizzazione del gip». Gli inquirenti scrivono che «Silvia Melis, in base a quanto fin qui emerso, risulta essersi liberata da sola, e certamente non per il pagamento del riscatto che Nicola Grauso ha assentito di aver consegnato ai rapitori». Il miliardo che Tito Melis aveva consegnato all'avvocato Piras per il .pagamento del riscatto, inoltre, «non è mai stato restituito al Melis». Grauso ha raccontato di averlo versato ai banditi aggiungendo .400 milioni di tasca propria, ma «le modalità della pretesa consegna del miliardo e quattrocento milioni, e quelle riferite dal Grauso in ordine alla costituzione della provvista di denaro contante asseritamente aggiunto, sono state smentite dai vari accertamenti svolti». Che fine abbia fatto il denaro di Melis, quindi, non si sa. Caselli e i suoi sostituti aggiungono che «al fine di estorcere la consegna di un altro miliardo all'avv. Piras, quest'ultimo, il Grauso e il dott. Lombardini avrebbero concordato, e poi attuato con ruoli diversi, un "piano" consistente nel far credere al Melis che il Piras aveva davvero stabilito i contatti con i rapitori». La prova principale del «piano» è nell'incontro notturno, nei pressi dell'aeroporto di Cagliari, tra Melis e Lombardini, nonché nella «versione di comodo» fornita da Piras e Grauso a Melis «dopo il recupe- ro della libertà da parte di Silvia». Da tutto questo ha preso corpo l'accusa di estorsione, e le indagini hanno evidenziato «la posizione di estremo rilievo ricoperta dal dott. Lombardini». Si arriva così all'interrogatorio del giudice, durante il quale «veniva effettuata una discovery completa degli elementi e delle fonti di prova a carico del medesimo». Non c'erano infatti solo le dichiarazioni di Tito Melis e di altri testimoni sull'incontro notturno e clandestino, ma - ad esempio l'intercettazione di un colloquio telefonico tra Grauso e Piras in cui «il Grauso fece cenno al fatto che, avendo Tito Melis fotocopiato una parte del denaro consegnato a Piras, vi era la possibilità che "denaro dopo denaro" si risalisse a Lombardini». Il giudice, come si sa, ha negato ogni addebito, e i pm inseriscono un'ultima annotazione, a dimostrazione della correttezza del loro operato: «L'interrogatorio, nel corso del quale l'indagato esponeva la sua difesa (fra l'altro producendo una missiva a sua firma, con la quale avanzava gravi accuse nei confronti dei magistrati della procura di Cagliari, aggiungendo verbalmente altri gravi rilievi nei confronti del collega Fleury della procura della Repubblica di Firenze), si caratterizzava per l'assoluta serenità dei toni ed il rispetto reciproco, tanto che lo stesso difensore avv. Concas ne dava atto espressamente al termine del verbale, come risulta dalla registrazione». Giovanni Bianconi Francesco La Licata L'ESTORSIONE «Le indagini hanno messo in luce la posizione di estremo rilievo ricoperta dal giudice Lombardini in tutta questa vicenda» L'INTERROGATORIO «La verità dei fatti è ben diversa da quella che si è cercato di accreditare da parte dei diretti interessati» «Assoluta serenità nei toni delle domande» IL RAPIMENTO «Sulla base di quanto fin qui è emerso Silvia Melis risulta essersi liberata da sola e certamente non per il pagamento del riscatto che Nicola Grauso ha detto di aver consegnato» A destra il giudice Luigi Lombardini. A sinistra il procuratore di Palermo, Gian Carlo Caselli

Luoghi citati: Cagliari, Firenze, Palermo, Roma