I Maya alla conquista di Venezia

I Maya alla conquista di Venezia intervista. I segreti d'una grande mostra. Parla Paolo Viti, direttore di Palazzo Grassi I Maya alla conquista di Venezia E per il2000 è in arrivo Giorgione fossero presenti, e tutti al livello più alto. Possiamo quindi esporre sia i pezzi più prestigiosi dei musei delle capitali sia quelli che siamo andati a cercare fin nei più piccoli paesi dove erano gelosamente custoditi sia quelli dei grandi musei dell'occidente. Solo pezzi di musei, non di collezioni private perché sapevamo che ci sono esportazioni clandestine continue e non volevamo entrare in contatto con quel mondo», Sottolinea, «felice»: «Siamo riusciti ad avere materiali da 44 musei di 10 Paesi. Per fare l'esempio del Messico, oltre che dal Museo di Antropologia di Città del Messico sono giunti reperti da altri 27 musei messicani. Mai era stato esposto materiale proveniente dalla periferia». Questa è la diciottesima espo¬ sizione di Palazzo Grassi che iniziò la sua attività nell'86. Paolo Viti è un po' la memoria storica dell'istituzione vene- anziana, dove è arrivato nell'88, l'anno della mostra sui Fenici che riscosse un enorme successo alla pari di quelle successive sulle culture antiche. «Fu un'invenzione, soprattutto nel modo di raccontare una civiltà. L'invenzione consisteva nel non limitarsi a presentare le opere ma nel metterle in un contesto di informazioni, suggestioni, che aiutavano il visitatore a entrare in sintonia con le opere. Questa è stata la scommessa. Che è stata vinta coi Fenici, i Celti, i Greci in Occi- dente. Con visitatori fra i 700 e gli 800 mila. Tanto che finalmente abbiamo deciso di varcare l'oceano e di presentare una civiltà qualitativamente altissima quanto poco conosciuta, la civiltà di «uomini mirabili che inventarono lo zero e l'infinito», straordinari per speculazione intellettuale e ricerca scientifica pur non avendo a disposizione strumenti sofisticati se non l'osservazione del cielo e la possibilità di tramandare, di generazione in generazione per il tramite di sacerdoti re, queste informazioni e affinarle nel tempo. Tutte cose che non si sanno, e valeva la pena farle conoscere tramite la straordinaria qualità di statue, sculture, documenti che creano emozione e disponibilità all'apprendimento. La scommessa dei Celti, dei Fenici, dei Greci pensiamo di vincerla ancora una volta coi Maya. Ci abbiamo lavorato quattro anni e mezzo». Quale fu, fin dall'inizio, l'ambizione di Palazzo Grassi? «Fare cultura ad altissimo livello, fare cose che nessuno farebbe, senza entrare in concorrenza con altre istituzioni. Offrire la possibilità di approfondire in modo completo un tema. Una mostra come quella che sta per essere inaugurata - ci ha dotto chi l'ha vista non si è mai fatta e nessuno vedrà niente di simile nei prossimi cinquant'anni». Aggiunge: «Non facciamo soltanto le esposizioni. Ci sono anche i convegni scientifici. I cataloghi (questo sui Maya ha tutte le foto a colori, tutti i 600 pezzi sono stati ripresi da uno stesso fotografo che ha girato il mondo per garantire la stessa qualità nella rappresentazione delle opere). Il «petit journal» (che questa volta sarà completo come non mai proprio per dare a tutti la possibilità di portarsi una memoria di quanto visto). I cd-rom (per offrire ai giovani un aggiornamento secondo il linguaggio per loro normale e fargli vedere, in questo caso, i Maya che si muovono davanti ai templi e le città)». Mai un cambiamento di rotta dall'86? «Nei primi anni fu dato uno spazio privilegiato all'arte contemporanea. Io proposi di evitare quell'orientamento, che significa toccare il mercato, influenzare le quotazioni di un artista piuttosto che di un altro. E così abbiamo tagliato fuori una serie di problemi, che sono invece i problemi delle Biennali, degli altri musei». Quali i filoni da allora prescelti? «La riscoperta delle antiche civiltà, l'approfondimento dei temi legati al momento più alto della nostra storia, come il Rinascimento (ecco la mostra sull'architettura nel Rinascimento, che ci è stata chiesta poi da Washington, Parigi, Berlino, e ha superato il milione di visitatori), 1 arte moderna (Picasso, per esempio) che in Italia nei musei non è rappresentata in modo sufficiente». Come nasce l'idea di una mostra? Chi decide? «Non c'è una formula. Ci sono le idee che circolano nell'aria, i direttori dei musei e gli studiosi che parlano di restauri, ricerche, scoperte, gli specialisti di un settore che sono disponibili a lavorare su un certo progetto». Quale la mostra nel futuro di Palazzo Grassi cui guarda con particolare amore? «Una sul Giorgione che vorremmo fare nel 2000. L'ultima è degli Anni Quaranta. Da allora l'investigazione scientifica, storica e artistica è andata non poco avanti. Siamo a Venezia. Non vale la pena lavorarci?». Liliana Madeo «Abbiamo inventato un modo per raccontare le antiche civiltà creando nuove emozioni» VENEZIA teso su un barcone, a cielo aperto, lentamente ha percorso il Canal Grande I e si è avvicinato a Palazzo Grassi. E' un Chac Moli, la statua di una di quelle divinità che si trovano nei luoghi archeologici della civiltà maya, ai piedi dei templi, reggendo su un piatto all'altezza del petto i cuori dei prigionieri sacrificati. Una figura gigantesca e suggestiva, che racconta miti lontani, cerimonie sconosciute, personaggi e rituali che sconfinano nella favola. Piano piano la grande statua viene deposta davanti al Palazzo. A pelo dell'acqua, prima che si passi fra le colonne del cortile d'onore, sarà visibile da tutti quelli che passano col motoscafo o il vaporetto per il canale, annunciando i tesori che all'interno vengono esposti, reperti che mai avevano lasciato i Paesi d'origine per il loro peso e la loro importanza, reperti ritrovati fortunosamente nella giungla negli ultimi due secoli, inediti provenienti da piccoli musei. La mostra «I Maya» si inaugura sabato prossimo. Questo è uno dei movimentati giorni della vigilia, con gli ultimi arrivi dei pezzi che verranno esposti, accompagnati da fotografi, restauratori, curatori dei musei da cui le opere sono state mandate. Paolo Viti, direttore delle attività culturali dell'istituzione veneziana che fa parte del gruppo Fiat, segue con emozione il viaggio del Chac Moli e controlla e spiega: «Anche tre stele di grandi dimensioni stanno per essere sistemate. Nel cortile d'onore. Nel rispetto dei problemi geo-politici che l'allestimento presenta. Tre come i maggiori Paesi - Messico, Guatemala, Honduras - da cui l'area maya è oggi rappresentata politicamente. Nessuna di queste pietre aveva mai lasciato i luoghi di provenienza. Ma noi abbiamo ottenuto - e questa è un po' la caratteristica della mostra - che tutti i Paesi del territorio maya Qui accanto Paolo Viti; sopra e a sinistra due opere Maya; in alto la facciata di Palazzo Grassi

Persone citate: Giorgione, Greci, Liliana Madeo, Paolo Viti, Picasso