Miti infranti

Miti infranti Miti infranti Anche Coca Cola nella bufera NEW YORK. C'è qualcosa di diverso nella «botta» subita da Wall Street l'altro ieri rispetto alle precedenti, e la differenza non è soltanto nelle dimensioni. Finora le cadute ricorrenti erano provocate da questioni contingenti (per esempio il possibile rialzo o abbassamento dei tassi d'interesse da parte della Federai Reserve) che comunque non facevano sorgere nessun dubbio sul fatto che l'economia era forte. La prova era che durante quelle cadute chi indossava la pelle dell'orso erano i «professionisti» di Wall Street, per loro calcoli speculativi, mentre i piccoli riparmiatori continuavano a starsene nella pelle del toro. Questa volta è stato esattamente l'opposto. Gli operatori, nei limiti del possibile, cercavano di comprare per «tenere su» il mercato, i piccoli risparmiatori cercavano di vendere perché non si fidavano più della solidità dei loro titoli. La conseguenza è stata che si sono visti crollare titoli «storicamente sicuri», perfino quello della Coca Cola ed anche quelli delle imprese di Silycon Valley. Basti pensare alla Microsoft di Bill Gates che ha «bruciato» sulla carta cinque miliardi di dollari sui 50 della sua fortuna personale. L'unica spiegazione che i commentatori riescono a trovare di questa novità è che è venuta meno la «fiducia». I risparmiatori americani, cioè corniciano a farsi l'idea che il ciclo favorevole si stia avvinando al termine. Questo vuol dire che ciò che è accaduto l'altro ieri è stato certamente causato dalla situazione russa, ma anche che l'America ha dato un suo proprio «contributo». Ieri, per una conferma o una smentita a questa teoria, tutti aspettavano di vedere la conclusione del «day after» e soprattutto l'effetto delle parole di Robert Rubin, il ministro del Tesoro, che, al telefono, ha concordato con Clinton le cose da dire. E tanto hanno concordato che poco dopo le parole di Rubin e quelle del Presidente appena sbarcato nella capitale russa sono state identiche: «I fondamenti dell'economia americana sono forti, grazie in parte alla politica di questa amministrazione. Anche le prospettive di crescita, di bassa inflazione e di bassa disoccupazione rimangono forti». Parole un po' fredde, in verità, che hanno fatto dire al «New York Times» che «finora i segni che i governi siano all'altezza della situazione sono, per non dire di peggio, limitati». Ma anche parole che bene o male, ieri, sono sembrate dare al mercato la capacità di «reggere». Ma se i governi non sono all'altezza, che dire degli «esperti» di Wall Street? Dalle loro rimuginazioni, ieri, in fondo è uscita solo un'idea: quella di chiedere ad Alan Greenspan, il governatore della Federai Reserve, di abbassare i tassi di interesse. Come dire: facci giocare ancora. Lui non ha risposto, ma di certo l'idea di pagare il riassetto di Wall Street con una crescita dell'inflazione non gli va proprio giù. [f. p.l

Persone citate: Alan Greenspan, Bill Gates, Clinton, Robert Rubin

Luoghi citati: America, New York