Assisi, l'attesa infinita

Assisi, l'attesa infinita Restano 4 Clarisse a vegliare sul monastero distrutto dal terremoto Assisi, l'attesa infinita «I soldi non arrivano, la gente fugge» INCHIESTA/2 IL MIRAGGIO RICOSTRUZIONE ASSISI DAL NOSTRO INVIATO Undici mesi dopo, il terremoto di Marche e Umbria è ancora una realtà. In alcuni luoghi più che altrove, è una bestia viva, in grado di imporre alle terre i suoi ritmi e agli uomini le sue strade: tortuose, irregolari, contorte, prima o poi restituiranno la serenità a chi l'ha persa, ma soltanto dopo un lungo cammino, cosparso di rabbia e paura. LA RABBIA. «Pace e bene», augura la madre vicaria del convento delle Clarisse di Assisi. Un filo lieve è la sua voce. E' un'altra forma di rabbia, la sola concessa dalla regola delle discepole di Santa Chiara: «L'altro giorno abbiamo udito un gran rovinìo di macerie. E' caduto mi pezzo del cornicione del campanile della Basilica. Vi sono stati danni ai tetti e alla zona ancora agibile del monastero. E' trascorsa quasi una settimana, nessuno è intervenuto: è necessaria un'impalcatura per sostenere il campanile, altrimenti può accadere qualcosa di grave». In pericolo è innanzitutto la loro vita. La madre vicaria e tre suore sono le uniche rimaste nel convento di Assisi delle 50 ospitate fino a un anno fa, prima del terremoto. Vivono in mia casetta di legno, nell'uliveto del monastero. Le tre suore si alternano. La madre vicaria ha il ruolo di responsabile del convento e della Basilica, non si è mai allontanata. Da 11 mesi vive così, i primi in tenda, la regola della clausura costretta a piegarsi di fronte alle necessità superiori: le visite dei tecnici, i colloqui con i giornalisti. Soltanto alla preghiera non rinuncia: sette volte al giorno torna nel monastero vuoto e pericolante, l'ala verso valle così malmessa da stare lentamente cedendo. Attraversa le stanze ufficialmente proibite, per inginocchiarsi davanti alle spoglie di Santa Chiara, unica zona ancora intatta del monastero. Nelle sue preghiere il futuro della comunità occupa il primo posto: «Il direttore del ministero dei Beni Culturali, il dottor Serio, ci ha detto che ad aspettare gli stanziamenti del ministero trascorreranno almeno 10 anni prima che il monastero possa essere rimesso a posto e le sorelle tornare a vivervi. I fondi del Giubileo, invece, potrebbero riportare all'apertura completa della Basilica già fra due anni. Ma questo è un nonsenso: come si potrà tenere aperta la Basilica, se non ci sarà nessuno a occuparsi del suo funzionamento? In quattro riusciamo a malapena a garantire il servizio limitato di questi mesi». La rabbia delle Clarisse è la rabbia di Assisi. Il sindaco, Giulio Bartolini, ha riaperto tutte le antiche porte della sua città, così come le chiese e le basiliche, per permettere ai turisti di tornare a circolare liberamente e ai suoi cittadini di lavorare. Eppure, i turisti non circolano quanto dovrebbero e i cittadini non lavorano quanto vorrebbero. Si calcola in centinaia di miliardi di lire la perdita di quest'estate per il calo del turismo. Né le prospettive future appaiono migliori: «La ricostruzione procede troppo lentamente - avverte il sindaco -. Se si continua così, non riusciremo a rispettare la scadenza del Giubileo». Il sindaco parla del restauro delle opere pubbliche. Quello delle case private è un capitolo anche più doloroso: «La fuga dal centro storico era iniziata già da tempo. Se non si fa in fretta, si rischia la sua morte». Fra qualche anno, le sue case potrebbero diventare tante bomboniere: perfette, ma inutili. LA PAURA. A Gualdo Tadino lo chiamano lo zio Terry. Dopo 15 mesi di rapporti con il terremoto, si cerca di sdrammatizzare in questa città, l'unica nella regione del terremoto ad avere ancora bisogno di un centro-ascolto di assistenza psicologico. Quindici mesi sono tanti, più di quelli sopportati altrove. La signora Maria Rita Spigarelli ha iniziato ad avvertire le prime scosse e ad avere paura nel maggio del '97, quando il terremoto parve colpire soltanto Massa Mariana. Undici mesi e molte scosse dopo, alla fine dello scorso inverno, pensava di poter smettere di avere paura. Insieme con il marito fece riparare la casa, provata da un anno di tremori del suolo, ma non tanto da assicurare l'accesso ai finanziamenti. I lavori terminarono, trascorsero altri 15 giorni. Il 3 aprile giunse l'ul¬ timo grande scrollone della terra, quello dedicato quasi per intero a Gualdo Tadino. Da allora Maria Rita Spigarelli vive in roulotte, tremando insieme con il marito e un figlio di 14 amii. Divide il suo destino con quasi altre 30 famiglie, tutte di Rigali, una delle frazioni di Gualdo Tadino più colpite dalla scossa di primavera. Loro malgrado, rappresentano l'ultimo villaggio di roulotte ancora presente nei luoghi del terremoto di Marche ed Umbria. Alcune scompariranno presto, nei giorni scorsi sono state consegnate le chiavi del villaggiocontainer di Rigali. Maria Rita Spi¬ garelli resterà, invece, in roulotte. La sua casa non è così danneggiata da darle il diritto all'assegnazione di una casa di latta. Ma lo è abbastanza da continuare a darle il batticuore all'idea di vivervi. La signora Maria Rita continuerà ancora a lungo a dividere la sua esistenza con roulotte e timori. La sua casa è stata una delle ultime a subire dei danni. La sua domanda di un finanziamento verrà esaminata dopo le altre 281 presentate per il terremoto del 26 settembre. Nel frattempo, zio Terry continua a farsi vivo. L'ultima scossa è giunta tre sere fa, con il solito boato del suolo e fragore di calcinacci. Il fra- gore veniva dalla chiesa di Rigali, inagibile e sbarrata da 11 mesi. Qualcos'altro è crollato all'interno. LA SPERANZA. Ha il volto di Fabrizia Savini, 26 anni, un diploma di terza media, un marito, una lotta con la disoccupazione già difficile da vincere un anno fa, divenuta drammatica dopo il terremoto. Ma Fabrizia ama lottare. Abita in una frazione, Molini di Sellano, 10 case agibili, ima ventina ridotte a inutili sfondi da palcoscenico. Il paese ora si divide fra 10 case di latta raccolte in un'area container e le poche strade percorribili dell'antico borgo. Di giorno, Fabrizia dà una mano nella salumeria, il negozio dei suoceri e del marito, l'unico rimasto aperto a Molini. Di sera torna nel suo container. Si siede davanti al computer. Studia e lavora. Dal 10 giugno presiede la cooperativa «La terra invisibile» e alla disoccupazione ha lanciato una sfida: trasformare la disperazione in un'occasione di lavoro per una trentina di giovani. L'idea è nata quando, scartando i tanti doni giunti, fra le scatole di tonno e i vestiti usati, è apparso qualcos'altro: otto computer. Sono stati installati in altrettanti campi: Sellano, Foligno, Annifo, Gualdo Tadino, Valtopina, Nocera Umbra, Cesi, Serravate, Colfiorito. Ognuno è stato provvisto di un accesso Internet e di uno spazio all'interno della grande rete. A poco a poco sono nate le pagine Web, dove i ragazzi hanno ignorato il terremoto e descritto al mondo la vita normale dei propri paesi. Quella stessa vita cui sperano presto di poter tornare, ma con una marcia in più: entro la fine dell'anno prossimo contano di poter insegnare informatica nelle scuole e di gestire nelle aree container i servizi di modulistica, assistenza, certificazione. Un programma ambizioso, ma Fabrizia e i suoi amici sono sicuri di poter vincere la loro battaglia. Anche grazie al terremoto e a otto computer ricevuti in dono. Flavia Amabile «E' caduto un pezzo di cornicione dalla Basilica ma nessuno è intervenuto» I turisti sono pochi e si calcolano in centinaia di miliardi le perdite dell'estate 998 Restano 4 Clarisse a vegliare sul monasterLa basìlica di Assisi, uno dei monumenti piò preziosi danneggiati dal sisma flA MAPPA DEL DISASTRO La basìlica di Assisi, uno dei monumenti piò preziosi danneggiati dal sisma