Clinton agli americani «Perché vado a Mosca» di Andrea Di Robilant

Clinton agli americani «Perché vado a Mosca» Clinton agli americani «Perché vado a Mosca» MOSCA DAL NOSTRO INVIATO Bill Clinton sbarca oggi in pieno subbuglio moscovita promettendo «l'aiuto dell'America» se la Russia resisterà alla tentazione di tornare al passato. Ma il presidente americano non si spinge oltre questa generica espressione di sostegno nel timore di essere trascinato nel vortice della crisi russa. «La Russia ha fatto cose davvero egregie in questi anni, ma adesso attraversa qualche difficoltà nella transizione dal comunismo alla democrazia - ha detto prima di imbarcarsi su Air Force One, abbracciato a Hillary - La soluzione più facile per i russi sarebbe quella di tornare al vecchio sistema. Vado lì per dir loro che la soluzione più facile non è la più giusta. E che se continueranno lungo la strada delle riforme gli Stati Uniti e l'Occidente dovranno venir loro in aiuto». Ma proprio mentre Clinton esortava la Russia a non abbandonare la via del capitalismo liberista, a Mosca la Duma bocciava sonoramente la nomina a primo ministro di Viktor Chernomyrdin (che stamane riceverà il Presiden¬ te all'aeroporto). La Casa Bianca si è affrettata a sdrammatizzare la notizia, ricordando che sono previsti altri due scrutini. Il voto «non avrà un impatto significativo» sulla visita, ha detto il portavoce P.J. Crawley, e Chernomyrdin rimane comunque «un interlocutore-chiave» ni questi giorni. Nei giorni scorsi molti osservatori e politici americani avevano sollevato forti dubbi sull'opportunità di tenere un vertice con Boris Eltsin in queste condizioni. Ieri, in risposta a quelle critiche, Clinton ha insistito che «è nell'interesse degli Stati Uniti aiutare i russi» a risolvere la loro crisi. «Viviamo in un mondo globale in cui i problemi vanno affrontati insieme, altrimenti uno se li ritrova sulla soglia di casa». «Non dimentichiamo che la Russia, assieme agli Stati Uniti, è il Paese che dispone del maggior arsenale nucleare. Abbiamo bisogno della sua collaborazione se vogliamo evitare che organizzazioni terroristiche s'impadroniscano di ordigni atomici». Il Presidente ha anche sottolineato l'importanza per l'America di poter contare sulla collaborazione russa nella gestione della .sicurezza in questa zona del mondo. «Senza l'aiuto della Russia non sarebbe stato possibile arrivare alla pace in Bosnia». Ma al di là di questi obiettivi di massima nessuno, tantomeno la Casa Bianca, si aspetta grossi passi avanti nei principali dossier di questo summit, dalla non proliferazione alle riforme economiche, dal Kosovo all'Iraq. L'Amministrazione conta di siglare un accordo per la conversione di 50 tonnellate di plutonio a uso civile. E in assenza di altri «trofei» da mostrare all'opinione pubblica i collaboratori del Presidente cercano di mettere in risalto questo risultato. La difficoltà di dare concretezza a questo vertice si è andata ovviamente accentuando negli ultimi giorni a mano a mano che la situazione politica a Mosca è scivolata nel caos, con gli americani che ancora ieri sera non sapevano letteralmente chi si troveranno di fronte nei colloqui di oggi e domani. La debolezza politica di Clinton a causa dello scandalo Lewinsky contribuisce all'atmosfera surreale di questo vertice. I media ame- ricani continuano a rievocare il summit di Mosca del 1974, quando Richard Nixon incontrò Leonid Breznev in pieno scandalo Watergate. Cinque settimane dopo Nixon rassegnò le sue dimissioni. E non è solo il Presidente ad offrire un'immagine appannata della leadership americana. In questi giorni anche il Segretario di Stato Madeleine Albright, che ieri sera si è incontrata con il ministro degli Esteri Evgheny Primakov, è stata presa di mira da parte di quotidiani americani importanti, a cominciare dal Washington Post. In difficoltà in Medio Oriente, in Iraq, nel Kosovo, la signora della politica estera americana fino a poco fa la vera star dell'Am¬ ministrazione - attraversa un momentaccio. E il fatto di essere scesa in campo per prima, lo scorso inverno, a difendere pubblicamente ed energicamente il Presidente dalle «false accuse» del caso Lewinsky ha finito per minarne ancora di più la credibilità. Andrea di Robilant