TOMINI E TOPONIMI di Alessandro Perissinotto
TOMINI E TOPONIMI TOMINI E TOPONIMI QUALCHE tempo fa, percorrendo la provinciale della Val Grande di Lanzo all'altezza di Chialamberto, vidi nella posa tipica dell'autostoppista una signora di una certa età, con una cavagna di tomini (presumibilmente dei mes e mes, mezzo di capra, mezzo vaccino) destinati alla vendita. La feci accomodare in macchina e sistemai la cesta sul sedile posteriore donde i tomini, per tutta la durata del viaggio, non cessarono di chiamarmi, quali moderne e domestiche sirene, e di dirmi: «Mangiami, mangiami...». Ripartito chiesi alla signora dove andasse e questa mi rispose decisa: «alla Spagna». Tra me e me lodai l'intraprendenza valligiana che, oggi come un tempo, non badava al peso dei lunghi viaggi pur di esportare i prodotti locali; feci però notare alla mia ospite che, al più, avrei potuto condurla a Torino, di qui, la prosecuzione per la penisola iberica era affare suo, ma comunque con il caldo che faceva, i tomini in breve sarebbero stati in grado di camminare da soli e, opportunamente addestrati, avrebbero potuto raggiungere la meta anche non accompagnati. L'anziana montanara mi guardò come si guarda un folle e nell'auto piombò un silenzio rotto solo dai richiami dei latticini al mio stomaco. Dopo qualche chilometro l'autostoppista mi fece cenno di accostare e, con um muto cenno di commiato, scese portando con sé l'oggetto del mio desiderio. Mi voltai per salutare per l'ultima volta quella cesta appetitosa e vidi la signora entrare in una porta sulla quale campeggiava un'enorme insegna: «Osteria di ca' di Spagna». Avevo quasi dimenticato questo episodio quando, l'altro giorno, un signore attempato al quale avevo dato un passaggio nella prima periferia torinese TOME TOP MINI ONIMI me l'ha fatto tornare alla mente. Alla domanda «Dove va?», il signore mi ha risposto placido: «Al Polo Nord». Da prima ho pensato che il gran caldo di questi giorni gli avesse fatto nascere un irrefrenabile desiderio di frescura, ma poi, memore della precedente esperienza, mi sono lasciato condurre da lui. Entrai in Torino, dopo alcuni «svolti di qua», «no di là», «non ricordo...», «dovrebbe essere qui», mi ha fatto fermare in via Bognasco, non lontano da uno stabilimento che, a ondate regolari, profuma l'aria dell'intero quartiere con un olezzo di pesce stantio. Ho dunque arguito che la zona si chiamasse Polo Nord per via di quell'inconfondibile odore di merluzzo dei mari del Nord, ma l'anziano mi ha smentito con uno sguardo compassionevole che sembrava dire: «Poveri giovani, vivete in una città che non sapete neanche cosa sia, e non conoscete la storia delle sue case e delle sue borgate». Poi, portandomi lì vicino a bere in un bar tutto finto legno e formica, mi ha fatto notare l'insegna: «Bar del Polo Nord». Mi ha spiegato che una volta l'Osteria del Polo Nord, di cui quel bar non era che lo spettro, era famosa in tutta la città e che la domenica venivano da lontano, fin da Borgo Vittoria e dalla Barriera di Milano, per bere e per giocare all' carte. Allora non si diceva vado in piazza Marmolada, in corso Lione, in via Rivalta, si diceva solo al Polo Nord. Ciò che non ha saputo spiegarmi è il perché un oste, in tempi ormai remoti, abbia deciso di intitolare al Polo Nord il proprio esercizio; affido quindi al buon cuore e alla memoria di qualche lettore questo mio angoscioso interrogativo. Alessandro Perissinotto
Luoghi citati: Bar Del Polo Nord, Chialamberto, Milano, Spagna, Torino
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