Il peggior cervello batte il miglior computer

Il peggior cervello batte il miglior computer INFORMATICA E NEUROSCIENZE Il peggior cervello batte il miglior computer Nessuna tecnologia potrà mai imitare la mente umana SUL finire del Seicento, John Locke - il grande filosofo empirista britannico - paragonava la mente umana a un «foglio bianco», privo di contenuti sino a che non interviene l'esperienza a lasciarvi le proprie tracce. E' una concezione che ha esercitato un forte influsso sul pensiero moderno, e reso del tutto familiare l'ipotesi secondo cui colori, forme, movimenti e tutte le caratteristiche che ci appaiono inseparabilmente connesse agli oggetti intorno a noi sono percepite passivamente dal cervello, il quale si limiterebbe a registrare sul proprio «foglio» interiore quanto le sensazioni, provenienti dall'esterno, vi incidono. Questo scenario lineare e rassicurante del modo in cui la nostra mente si rapporta al mondo circostante non ha, tuttavia, retto il confronto con gli studi più recenti condotti nel campo della neurobiologia e della psicologia della percezione. Come spesso accade, ogni progresso nell'indagine ha, come propria controparte, risultati di meno immediata leggibilità. Così, numerosi esperimen¬ ti su vari aspetti della percezione visiva oggi ci dimostrano come la mente svolga un ruolo attivo (e talvolta inquietante) nel consentire quell'attività sensoriale che si è soliti ritenere del tutto «neutra» e «oggettiva». E' il cervello che costruisce, e in taluni casi crea, le immagini che noi percepiamo del mondo esterno; con i loro movimenti complessi e la loro ricchezza cromatica. Le immagini retiniche e i segnali sensoriali sono ampiamente inadeguati e - da soli - non possono in alcun modo rendere ragione delle percezioni di cui siamo coscienti; le quali sono, invece, autentiche ipotesi, frutto dell'attività interpretativa del cervello. Tra le scoperte più recenti e significative ottenute indagando la fisiologia della corteccia cerebrale - la regione dove si svolgono i più complessi processi percettivi - vi è l'individuazione, in essa, di «moduli specializzati», i quali sono addetti al riconoscimento di particolari caratteri e si attivano soltanto in presenza di questi ultimi: alcuni di tali «moduli» sono idonei, per esempio, a co¬ gliere il movimento delle mani, altri i tratti del viso. E, secondo quanto ha sostenuto il neurobiologo Semir Zeki (durante un ciclo di lezioni tenute all'Università Statale di Milano, a cura della Fondazione Sigma Tau: i testi sono di prossima pubblicazione presso Laterza), esistono anche . «moduli» specifici della corteccia cerebrale che risultano coinvolti nella contemplazione di un'opera d'arte: persino il «senso estetico», la personale sensibilità alla bellezza, sarebbe il risultato, di precisi percorsi funzionali i quali, a partire da pochi, ambigui e incompleti stimoli retinici, attivano alcune specifiche zone del cervello. La teoria della «modularità» cerebrale pare, in effetti, aprire prospettive concettuali piuttosto inquietanti, poiché può indurre a ipotizzare che anche i più elusivi e complessi prodotti della nostra facoltà intellettiva siano il risultato, semplice e diretto, dell'attività di cellule cerebrali, di fibre nervose e delle loro connessioni. Questa concezione dell'attività mentale che ci costringe a considerare vie inconsuete nel sempre perseguito tentativo di comprendere «cosa siano» il senso del bello (o anche del bene) e tutti quegli elementi che tanto ci appaiono caratteristici della nostra spiritualità e della nostra libertà interiore: a determinare quelle intuizioni e quei giudizi estetici (o morali) potrebbero essere le cellule cerebrali, i neuroni, attraverso le connessioni instaurate dalle loro sinapsi - i filamenti che trasferiscono i messaggi da un neurone all'altro per mezzo di sostanze chimiche, i neurotrasmettitori. Studi di frontiera nell'ambito dell'intelligenza artificiale e delle scienze cognitive stanno oggi approfondendo le indagini sulla funzione di questi «moduli», e delle diverse aree cerebrali, ricorrendo a particolari dispositivi elettronici noti come «reti neurali artificiali», attraverso cui modellizzare l'attività delle sinapsi. Al momento, pur riuscendo a modellizzare efficacemente alcuni comportamenti conoscitivi e trovando sempre più vasta applicazione in campo indù- striale (per esempio nel riconoscimento di specifici oggetti, o nella formulazione di diagnosi mediche), le reti neurali artificiali sono soltanto un'approssimazione alquanto rozza del concreto comportamento biologico. Tuttavia, è lecito pensare a una analogia effettiva tra cervello e mente artificiale? E' possibile supporre che l'immenso bagaglio di creatività, sensibilità e libertà espresso dall'intelletto umano risulti, potenzialmente, riducibile a un insieme di regole e rigide connessioni eseguibili da un programma di computer? Forse, pur prestando fede alla teoria della «modularità» e considerando quindi l'attività mentale esito di puri processi fisiologici, questa prospettiva può essere evitata. Ciò, almeno, è quanto promette l'ipotesi, audace e suggestiva, che un nome prestigioso della fisica contemporanea, Roger Penrose, sta cercando di elaborare. Non soltanto, infatti, le reti neurali biologiche sono assai più complicate di quelle artificiali, poiché sono composte da miliardi di neuroni e trilioni di connessioni. Ma, egli sottolinea, i neuroni subiscono mutamenti che non sono modellizzabili mediante reti neurali artificiali. In particolare, l'intensità dei legami creati dalle sinapsi nel correlare i neuroni non è costante; e tale variazione di intensità, secondo l'opinione di i Penrose, non può essere model¬ lizzata in modo soddisfacente mediante programmi computazionali di intelligenza artificiale. La giustificazione che Penrose delinea è assai articolata, e richiede una complessa rilettura delle principali teorie fisiche (in particolare della meccanica quantistica). Essa conduce a sperare che la natura della mente possa essere indagata scientificamente facendo emergere un nesso - stretto e coerente - tra «il grande, il piccolo e la mente umana» (questo il titolo del suo ultimo libro, ora tradotto presso l'editore Baffaello Cortina), senza ridurre l'attività mentale a una mera serie di operazioni riproducibili da un sistema artificiale, per quanto sofisticato; e quindi senza negarne la sfuggente globalità e imprevedibilità. Un sogno (forse), che può comunque contribuire ad arricchire la pluralità delle indagini, e le loro stesse finalità. Nel tentativo di trovare risposte nuove agli antichi interrogativi sulla nostra mente e il nostro cervello. Alberta Plebaglia Il fisico Penrose e il biologo Zeki affrontano il mistero della conoscenza li fisico inglese Roger Penrose, autore del saggio «Il grande, il piccolo e la mente umana», pubblicato di recente anche in Italia (ed. Raffaello Cortina)

Persone citate: Alberta Plebaglia, John Locke, Penrose, Raffaello Cortina, Roger Penrose, Semir Zeki, Zeki

Luoghi citati: Italia, Milano