BAMBINI AGLI INCROCI PER CENTO DOLLARI

BAMBINI AGLI INCROCI PER CENTO DOLLARI BAMBINI AGLI INCROCI PER CENTO DOLLARI Fine '800: quando il Sud emigrava in America EMIGRANTI? Chi sarebbero mai costoro? Forse gli extracomunitari che sbarcano sulle coste, i tunisini e i maghrebini che prendono il mare appena possono diretti verso la nostra penisola, i fuggitivi arrivati dal Kosovo e dal Kurdistan. A sentire le cronache di queste settimane parrebbe proprio che emigranti tutti i popoli lo siano stati ad eccezione del nostro che, improvvisamente, ha calato una fortissima amnesia su pagine della propria storia niente affatto lontane. «Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar...»: chissà mai cosa avrà significato questa canzone che - dicono gli studiosi di folklore - veniva cantata sino a qualche decennio fa nelle campagne della nostra Padania? E «Core 'ngrato», «Santa Lucia luntana», «Lacrime napulitane»? Di che parlano questi classici della canzone napoletana, e tutta 'sta gente - col fazzoletto pronto ad asciugare cascate di pianto - di che soffre? Quale lontananza e assenza di affetti e fatica di vivere va ad affidare alle note? Con l'aria che tira nessuno sembra più essere in grado di dare una risposta sensata attingendo a memorie che pure spartiamo tutti assieme, concretissimo luogo comune che cementa il nostro essere - sparsi tra questa penisola e il mondo intero - italiani. Sul finire del secolo scorso a New York un bambino italiano da impiegare come suonatore, spazzacamino, mendicante da porre sapientemente agli incroci - vale dai 100 ai 500 dollari. Lo afferma nel 1888 Francesco Saverio Nitti, uomo severo che non parla certo a vanvera. E nel suo scritto L'emigrazione e i suoi avversari Nitti documenta come, con la legge del dicembre 1873 che vieta l'impiego dei fanciulli nelle professioni girovaghe, si registri un'impennata nell'esodo verso l'America di numerosi bambini e adolescenti americani provenienti dalla Basilicata, dalla Campania, dalla Liguria, dal Piacentino: «Padri scrive Anna Maria Martellone nel suo saggio Una little Italy nell'Atene d'America - che per la gran miseria non arrivavano a sfamare i propri figlioli non avevano esitato a venderli a contratto a speculatori che li conducevano all'estero...». Bambini agli incroci e trafficanti di esseri umani: la storia, come si vede, ama ripetersi anche se talvolta cambia le comparse e i palcoscenici. Di emigrazione e di sensali di merce umana infatti non se ne parla solo oggi. Centodieci anni fa Crispi presenta in Parlamento un disegno di legge per regolare la materia e l'art. 7 prevede un'ammenda di lire mille (cifra per quei tempi niente affatto trascurabile) contro «gli ecclesiastici, i sindaci, i segretari e i maestri che con esortazioni scritte o verbali promuovono l'emigrazione anche senza fine di lucro». L'ipocrisia dell'Italietta crispiana non ha nulla da invidiare a quella di epoche successive e quel «senza fine di lucro» è veramente la ciliegina posta sulla torta di un affare sul quale pochi non si ritagliano qualche fettina. Secondo Grazia Dorè, autrice de La democrazia italiana e l'emigrazione in America, le grandi compagnie di navigazione e i cacciatori di manodopera per conto dei grandi proprietari latino-americani versano per ogni emigrante convogliato oltre l'Oceano una media di venti lire agli agenti, e ai sub-agenti (che spesso sono il maestro di scuola, l'ufficiale postale, l'impiegato comunale, l'oste, il parroco). Come funziona il reclutamento? Nel romanzo Di corno o d'oro Laura Pariani è efficacissima nello spiegarlo: «Dopo la Messa granda, sulla piazza della chiesa, mentre gli uomini chiacchierano, arriva un biroccino. Ne scende un signore ben vestito, la catena dell'orologio ben in mostra. Due occhi da fuén. Con lui c'è un altro uomo, tarchiato, dall'aria da contadino, ma ben vestito. Tutti i paesani vengono invitati all'osteria del Gallo a bere un bicchiere, gratis et amore Dei, paga il forèsto. Anche del tabacco viene offerto a tutti. Al tavolo dell'osteria l'uomo comincia a parlare della Mérica, terra di delizie, dove tutti han da mangiare tocchi di carne grossi così e tutti i contadini possiedono la robba, cioè un pezzo di terra...». Nello scorso secolo è verso la metà degli Anni Ottanta che l'America diventa la mèta della maggioranza degli emigranti italiani: prima, ad esempio nel 1876, degli italiani che lasciano la penisola solo ventimila varcano l'Atlantico mentre novantamila vanno verso gli altri Paesi europei. Dieci anni dopo, invece, l'Europa è la mèta - in un anno - di 85.365 emigranti mentre verso l'America ne navigano, sempre nel 1887, 130.302. Edmondo De Amicis, proprio in quel periodo, scrive Sull'Oceano, reportage dedicato agli emigranti che viaggiano con lui, su un vapore diretto verso l'Argentina: «C'erano molti Valsussini, Friulani, agricoltori della bassa Lombardia, contadini d'Alba e d'Alessandria che andavano all'Argentina non per altro che per la mietitura, ossia per mettere da parte trecento lire in tre mesi e navigando quaranta giorni. Tessitori di Como, famigli d'Intra, segantini del Veronese. Della Liguria il contingente solito dato in massima parte dai circondari di Albenga, Savona e Chiavari...». Quando De Amicis scrive queste pagine l'emigrazione in America è ancora fatta, in buona parte, da gente del Settentrione: Liguria e alto Piemonte fino al 1866 forniscono i maggiori flussi, superati poi dalla Lombardia e quindi, negli anni successivi, dal Veneto. Sino al 1886 i due terzi degli emigrati in America vengono dall'Italia settentrionale e tra le regioni meridionali solo la Basilicata e la Calabria forniscono quote significative di partenti. Una dinamica che cambia col nuovo secolo con l'ampliarsi imponènte del fenomeno sino al suo impennarsi massimo, nel 1906, quando gli italiani che emigrano sono 787.977 e di questi oltre centomila vengono dalla Sicilia, la regione che, da anni, si è collocata al primo posto nelle partenze. Numeri, statistiche ma dietro ci sono, naturalmente, destini fieri e vite disperate che solo poche volte riescono a rivivere nell'aria di una canzone (è il caso di «Amerigo» creazione di splendida rabbia nata da Francesco Guccini) o nelle pagine di un romanzo. Come quel Di corno o d'oro della Pariani che s'apre con l'immagine dell'emigrante Carlén sperduto nel mondo: «Tilcara sta alla fine dell'altopiano, sulla strada che va dall'Argentina alla Bolivia: un paesino con le case dipinte a colori chiarissimi, celestini e verdolini. Il cielo è pallido, di cristallo, vicino al punto che sembra possibile carezzarlo con le dita. Un cielo straniero. Perché sei qui Carlén? - sembra dirgli». I cieli stranieri fanno domande che vanno dritte al cuore. Anche se gli anni corrono via e cambiano latitudini e volti la risposta, detta in chissà quale lingua, rimane sempre la stessa. Oreste del Buono Giorgio Boatti La storia, ama ripetersi anche se talvolta cambia le comparse e i palcoscenici. Un secolo di ipocrisie: dailltalietta Crispino a oggi Il viaggio della speranza: quando gli italiani cercavano fortuna oltreoceano Testi citati Francesco Saverio Nitti L'emigrazione e i suoi avversari 1888 Anna Maria Martellone, Una little Italy nell'Atene d'America Napoli 1973 Edmondo De Amicis Sull'Oceano Milano 1888 Laura Pariani Di corno o d'oro Selleho, 1993 e la canzone Amerigo di Francesco Guccini E JVÌEItlOltjE \\V HELLTIÌliJA \m UNITA E