L Italia può aiutare la diplomazia europea di Aldo Rizzo
L Italia può aiutare la diplomazia europea ossenvATORfl® L Italia può aiutare la diplomazia europea un po' di tempo si usa dire negli «ambienti dell'Ulivo», chiamiamoli così, che l'Italia ha finalmente una politica estera. L'affermazione è certamente esagerata, nel senso che l'Italia ha sempre avuto una politica estera, basata su alcune scelte fondamentali di cinquantanni fa (la Nato, l'Europa, la libertà degli scambi). Però è vero che col governo di centrosinistra la politica estera italiana si è rinvigorita e ha acquistato una maggiore «visibilità», grazie a una complessiva seppur faticosa stabilità interna e grazie anche a una certa flessibilità diplomatica, resa possibile dalla fine della guerra fredda e dello scontro tra i blocchi. Oltre allo storico risultato dell'ingresso nell'Euro, bisogna annoverare le varie iniziative nel Mediterraneo e nei Balcani, con in testa il salvataggio politico dell'Albania, e un tono generale della nostra azione nel mondo, più sostenuto e meno impacciato che in passato. In questo contesto va collocata anche la conferenza dei 125 ambasciatori italiani, in pratica di tutti i capimissione nel mondo, che si svolge domani e mercoledì alla Farnesina. Si dicuterà di problemi interni, di organizzazione del ministero, e di come meglio promuovere i nostri interessi economici e culturali, ma anche delle linee politiche generali. S'immagina che non s'inauguri con questo una fase «assembleare» o «corporativa» della nostra politica estera, ma che si voglia registrare le esperienze e gli stimoli dei nostri ambasciatola, attorno alle linee-guida indicate dal presidente Prodi e dal ministro Dini. Tutto bene, dunque. O quasi. Si possono aggiungere infatti un paio di considerazioni. La prima è che il governo italiano ha assunto una serie di meritorie iniziative di tipo «settoriale» o «di area», anche in omaggio ai riscoperti canoni della geopolitica e dell'«interesse nazionale», appunto nel Mediterraneo, in Medio Oriente e nei Balcani, ma ha dimostrato una ben minore visibilità di fronte a crisi più ampie e gravi, da quella scaturita dagli atten tati antiamericani in Africa e dalla dura reazione degli 1 Stati Uniti, all'attuale I drammatica vicenda russa. In entrambi i casi, ha giocato, oltre all'obiettiva complessità di un giudizio, la difficoltà del rapporto interno con gli alleati di Rifondazione comunista. Ma ha avuto un ruolo, forse come alibi, anche la latitanza dell'Unione europea in quanto tale. Ed ecco la seconda considerazione, che è poi una domanda o un'esortazione. Perché l'Italia, il governo Prodi-Dini (che certamente avrebbe su questo consensi più estesi dell'attuale, difficile maggioranza), non prende un'iniziativa grande, di rilancio di una presenza effettiva, politicostrategica, dell'Unione europea? Una mossa del genere sarebbe un po' il «tetto» sui «mattoni» specifici o settoriali della sua nuova diplomazia, con un ricavo di credibilità generale, e nello stesso tempo avrebbe l'effetto di risvegliare l'Unione di fronte ai pericoli sempre più evidenti del dopo-guerra fredda. La Prima Repubblica, nonostante tutto, ha illustri precedenti in questo senso: dalla conferenza di Messina del 1955, che diede il via alla Cee, al vertice di Milano del 1985, che aprì la strada al mercato unico, all'altro vertice di Roma del 1990, che inaugurò le due conferenze intergovernative che prepararono Maastricht, battendo la dura resistenza di una signora di nome Thatcher e persino travolgendola politicamente. La Seconda Repubblica è ancora e sempre in fase di parto, ma proprio il varo di una grossa proposta europea potrebbe esserne il definitivo atto di nascita. Il momento è più che mai propizio. La Germania è alla vigilia di un incerto cambio di potere, la Francia è divisa tra Chirac e Jospin, la «Cool Britain» di Blair vuole l'Europa in modi confusi. E a ottobre, a Vienna, ci sarà un vertice di riflessione sull'Europa politica, ma senza ancora temi precisi. E allora, l'Italia... Aldo Rizzo :zo
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