Un anno dopo, tutti al Carnevale

Un anno dopo, tutti al Carnevale Un anno dopo, tutti al Carnevale La festa caraibica oscura il lutto di Londra E: LONDRA CCOLA dunque Londra: asciutta di lacrime, allegra, sudata, dispersa lungo Portobello Road, dove gruppi di giamaicani strafatti dondolano lenti in mezzo a qualsiasi incrocio, e centinaia di bambini, mamme, padri, fratelli maggiori, soffiano nei fischietti, danzando Bob Marley, mentre i policemen a cavallo, dritti come bandiere, cercano di tenere a bada la folla che sbanda. Né i giornali né le televisioni planetarie immaginavano qualcosa del genere. Tutti a preparare pagine e ore di rimembranze, con i «royal correspondent» mobilitati a registrare il mesto soffio dell'aristocrazia in lutto, oppure inviati a Balmoral, Scozia, sotto alle mura del castello reale, dove Elisabetta e Tony Blair, i principini William e Harry e tutte le alte uniformi del caso, bisbigliano con massima discrezione e aspettano che il tempo non passi. Il tempo invece è passato. Diana galleggia tra i nuvoloni di questa tarda estate, ma non allaga più il rude asfalto della grande Londra assedita dalla fretta e dalla vita vera che rotola, masticando i ricordi. Certo, dentro al verde di Kensington Park, proprio davanti al palazzo bello e isolato dove la Dama del lago viveva, puoi ancora sdraiarti sul pratone e rimanere per ore a guardare il pellegrinaggio davanti al suo cancello dorato. Ma quello che un anno fa era un oceano di gente e fiori, oggi è un torrentello che rallenta, si ferma e poi va via. Ci sono giapponesi, italiani, francesi. venuti qui a fare la foto. Ci sono famiglie di turisti inglesi che hanno portato i figli. Ci sono giovani sposi che appoggiano l'orsacchiotto e poi restano lì, mano nella mano. Tutto intorno (però), la gente prende quel po' di sole che spunta ogni tanto, legge i giornali, addenta sandwich, sculaccia i bambini e poi dorme beata. Diana (adesso) è come un fondale di seta, lo sfolgorio istantaneo di una qualche pietra preziosa che trapela nel mondo parallelo dei media. E' un racconto senza più sbocchi e colpi di scena, è il ricordo di una emozione, magari un rimpianto. E se il fascino della sua storia, con il soprassalto finale, ha a che fare con la fragilità della vita, non c'è altro che la vita ad archiviarne il vuoto. Perciò sul palcoscenico di Londra adesso sale il Carnevale dell'ultimo week-end di agosto. E il palcoscenico inzia proprio ai bordi del parco. Il confine, ma guarda un po', passa accanto all'ultimo luogo kitch del feuilleton, il «Café Diana», su Bayswater Road, dieci tavolini, cento foto di Diana alle pareti, un altare all'entrata con 5 lumini accesi e un mazzo di gigli candidi, inchinati davanti all'icona triste della principessa. La paffuta cameriera versa caffè, ma potrebbe fare altrettanto con le lacrime, quando ti dice: «La vedevo passare tutti i giorni...». A piedi? «Oh, no, in auto». E quindi? «Niente, era bellissima». Già dietro l'angolo, appena superata Moscow Road, elettricità e adrenalina prosciugano le ultime gocce sentimentali vecchie di un anno. Dalle dentiere della metropolitana sbuca il black people delle periferie. Questo adesso è un quartiere di mammole bianche e Rolls nere. Ci sono magnifiche case edoardiane con il giardino pettinato e la telecamera ronzante. Ma è nato caraibico e ogni anno, per due giorni, i discendenti oggi sloggiati a Brixton vengono a riprendersi le strade con la loro musica. Vengono a festeggiare l'approdo dell'«Empire Windrush», la prima nave di braccia operaie che gettò gli ormeggi dalla lontana Giamaica, esattamente 50 anni fa. Non avevano molto, se non musica, marijuana e rum. E hanno tutte e tre le cose anche oggi, solo in quantità industriali, da foderarci l'intero quartiere, e il cielo che ci sta di sopra per una cinquantina di ore. A spaccare in due il mondo c'è il vasto altare del dj Kcc, occhiali e pelle nerissimi, jungle music a tutto volume, e noi pazzi di sotto che gli abbiamo lasciato un microfono in mano. Coppie di rastamen saltano tutto intorno. E donne vestite oro ritmano con corpi di solidità elastica. Passano ragazzine in pattini e roller-biade portando piccoli vassoi con tante dosi colorate di «Vodka-gel», gelatine da inghiottire in un sorso. Mezza sterlina a botta e poi cavalcarci l'aria in compagnia di chiunque abbia abbastanza alcol dentro da dirti: «Fratello, io volo e tu?». 1 molti rasati e purissimi guerrieri inglesi con il giubbotto e il tatuaggio, oppure a torso nudo, scolano pinte di birra tenendo su i muri delle case, mentre migliaia di bambini neri o meticci, creoli, bianchi, coreani, ti spuntano intorno e corrono via. E ballano. E giocano. Ma così tutti insieme, che ti viene spontaneo pensare alle mille immagini di Diana e specialmente ai suoi molti consulenti mediatici che forse sognavano qualcosa del genere per i suoi futuri set fotografici. Ai bordi del grande fiume mentre spumeggiano i carri di Antigua, St. Lucia, Cuba - c'è un commercio perpetuo di souvenir, magliette, portachiavi, pelouche, tutta l'intera paccottiglia londinese, eccetto la recentissima, quella che ha riempito Oxford Street e Carnaby declinata nel principesco rosa di Diana. Non una tazza con i suoi occhi blu. Non un francobollo. Non un ed con gli zuccherini di Elton John. Eppure, ecco la fantastica verità, sono proprio la stessa gente, le identiche famiglie, i medesimi punk, le stesse squatter con la faccia rivestita di piercing che un anno fa, nella lunga notte tra il 30 e il 31 agosto, stavano a 500 metri da qui, sui prati nereggianti di Kensington a scrivere biglietti, come tanti scolari alla scuola del dolore. Era vero quello di allora - e non solo un'isteria di massa come oggi spiegano i freddi psicolgi da intervista - ed è autentica l'allegria di oggi e la dimenticanza che esibiscono, come tanti scolari alla scuola del Carnevale. «Questa sì che è vita!», grida senza pensarci un ciccione che fa il girotondo con signorine fatte d'ebano e tanga. La musica arriva da un carro, un Tir scoperchiato pieno zeppo di percussioni timpani, congas, bidoni, rullanti, campane, marakas, che ti scuotono come un martello penumatico. Come no. E' Londra intera un girotondo, e al diavolo la morte. Pino Corrias Agenti a cavallo sorvegliano la folla Da nessuna parte si vedono souvenir della Regina di cuori A Notting Hill bianchi e neri bevono, fumano e ballano al ritmo di Bob Marley

Persone citate: Bob Marley, Elton John, Pino Corrias, Rolls, Tony Blair

Luoghi citati: Brixton, Cuba, Londra, Notting, Scozia