«Ha vinto la mia regina di cuori» di Fabio Galvano

«Ha vinto la mia regina di cuori» «Ha vinto la mia regina di cuori» Andrew Mortori: è come se non fosse morta INTERVISTA IL BIOGRAFO UFFICIALE LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «E' come se Diana non fosse morta. Sui giornali ci sono più foto e più articoli di prima; perché, come diceva una poesia appesa un anno fa sul cancello di Kensington Palace, "chi vive nel nostro cuore non muore mai". E c'è una sorta di volontà collettiva a far sopravvivere Diana nei nostri cuori. La sua storia - la storia della "regina di cuori" - continua; e continuerà attraverso William e poi Harry. Un fenomeno strabiliante: prima di morire Diana era nella polvere, la relazione con Dodi aveva fatto cose terribili alla sua reputazione. Era criticata, i politici la chiamavano "mina vagante". Ora è sugli altari: morendo la peccatrice è diventata santa. Non a caso, sul suo nome, si combatte una vera guerra». Andrew Morton non ha bisogno di presentazioni. E' stato lui - 45 anni, ex giornalista, autore nel 1992 del libro «Diana: la sua vera storia» che ha venduto in tutto il mondo 7 milioni di COpiG - u rivelare l'infelicità della principessa. Sbertucciato dall'establishment, si prese una bella rivincita quando, a poco a poco, tutte le sue accuse a Buckingham Palace trovarono conferma. Per forza: la «gola profonda» di quel suo libro era stata Diana stessa, con una serie di conversazioni che Morton avrebbe reso note soltanto l'anno scorso, in una riedizione pubblicata dopo il funerale ed entrata nel «Guinness dei primati» come il libro con il più alto ritmo di vendite sul breve tempo. E' considerato la massima autorità su quell'icona dei nostri tempi. Perché, nel capitolo aggiuntivo con cui ha arricchito l'ultima edizione del libro, pubblicato in Italia dalla Fabbri, parla di guerra attorno a Diana? «Perché c'è un grande premio in palio, la Storia. Tutti sono in gara: Mohamed al-Fayed che ha preso in ostaggio il futuro di Diana dicendo che la sua famiglia l'aveva resa felice e serena; gli Spencer che hanno le sue spoglie mortali; i Windsor che hanno in William l'incarnazione vivente di Diana. La guerra è su come sarà ricordata questa donna. Se prevarrà l'immagine ritoccata dalla famiglia reale, di lei in seno ai Windsor come se nulla fosse accaduto, in una sorta di destalinizzazione al rovescio, allora sarebbe la vittoria dell'establishment». Un anno senza Diana sembra avere aumentato il mito. «C'è un senso di colpa collettiva, con i media che come Lady Maebeth cercano di lavarsi le mani insanguinate. Chi non poteva parlare bene di lei in vita, ora non può parlarne male. L'elevazione alla santità è frutto di una collusione fra Palazzo, giornali e pubblico: per farla più felice nella morte, più soddisfatta, più vibrante». Ma non mancano le critiche. «Vengono soprattutto dal clero, che non sa perdonarle quella grande qualità cristiana che non viene dalla Bibbia ma dall'anima: la capacità di raggiungere la gente e creare un contatto emotivo immediato. Nei giorni scorsi Lord Coggan, ex arcivescovo di Canterbury, parlava di "ima falsa dea" e di "dubbia moralità sessuale": se dice questo di Diana, che cosa dovrebbe dire di Carlo che pur essendo "difensore della fede" aveva fra le quinte un surrogato di matrimonio?». Che cosa è cambiato in quest'anno? «Buona domanda. Ma la risposta è difficile. Penso che la monarchia sia visibilmente più reattiva al pubblico e tenti sinceramente di entrare nel regno emotivo lasciato da Diana. Attenzione, non c'è una rivoluzione: quella è una parola che a Palazzo non sanno neppure come si scriva. Ma gli ingranaggi si sono spostati, forse, di un paio di denti. Si parla anche di un'Inghilterra più compassionevole verso i poveri, gli sventurati, i senza voce. Non lo credo: basta guardare la politica del governo - il trattamento delle ragazze madri, per esempio - e si vede che siamo in una società a spigoli duri. Un anno fa c'era gente che spendeva sterline per comperare fiori e lasciarli poi marcire davanti a Kensington Palace, ma poi non dava un penny ai mendicanti: quella non è compassione, è l'appagamento di un dolore personale. Terzo, c'è il fondo in memoria di Diana, che è cresciuto a dismisura, ormai un'industria. E poi ancora: è finita la scena dei paparazzi, i più fanno altro. Infine, forse siamo cambiati noi: siamo più tolleranti dei difetti delle nostre figure pubbliche, a cominciare da Carlo». I sondaggi lo presentano in luce diversa da un anno fa. «E' frutto della collusione di cui parlavo, fra Palazzo e media, che impongono la velina dell'uomo nuovo, più attento e compassionevole. Con la scomparsa di Diana è ridiventato primattore, l'unica rivalità viene da William e Harry, che non gli danno però nessun fastidio a differenza di quello che gli capitava con quella moglie scomoda. In realtà lui non è cambiato: era vecchio a 20 anni, ora che sta per compierne 50 è rimasto un abitudinario, amante della routine. Non cambierà certo ora. A cambiare è stata la percezione che si ha di lui. Il pubblico vuole perdonare: dopo tutto è un single con due figli a carico». Ma c'è anche, secondo i sondaggi, una crescente accettazione di Camilla, addirittura l'invito a sposarla. «I sondaggi valgono quello che valgono. A Carlo è sempre piaciuta la vita dello scapolo. Ha dovuto interromperla e sposarsi solo per il diktat della sua posizione. Dopo la nascita dei principini, in un certo senso, è tornato alla sua vita di scapolo. E' scapolo per abitudine, per istinto: non vedo proprio come possa desiderare un cambiamento di equilibri nel suo rapporto con Camilla. Lei potrebbe anche voler diventare sua moglie, ma Carlo sa che le ferite sono ancora aperte, che appena provasse a fare qualcosa la società si polarizzerebbe prò e contro di lui, mentre la monarchia deve invece cercare di essere una forza unificatrice». E' cambiata Elisabetta? «Anche per lei è cambiata la percezione che se ne ha. Il suo modo di popolarizzarsi è stato di visitare un McDonald's, che nella collusione generale di cui dicevo l'ha portata sulle prime pagine dei giornali. Ma quello che la morte di Diana ci ha ricordato è che la monarchia è come la fede, un'attrazione emotiva che tocca le nostre convinzioni come individui e come nazione. Se si modernizza e si trasforma in una branca del pubblico impiego tradisce Diana come vettore delle nostre speranze, dei nostri sogni, delle nostre convinzioni. Metterci le mani è rischioso». E i principini? «Il Palazzo è molto protettivo, la stampa ha il terrore di sbagliare perché ogni intrusione nella loro vita privata sarebbe interpretata come un attacco a Diana. Ma nessuno ha ancora affrontato la questione più interessante, in merito a William: è il futuro re, destinato a di¬ ventare capo di una struttura che ha respinto sua madre e i cui valori Diana aveva respinto. Quale sarà l'impatto psicologico su di lui?» Un anno senza Diana, ma anche un anno di alti e bassi per la sua famiglia, gli Spencer, «Charles Spencer è stato l'eroe trionfante a Westminster, quando ha sparato le più micidiali bordate degli ultimi 300 anni contro la famiglia reale, con tutto il mondo a sentirlo in tv. Ma poi è stato rapidamente picconato. Il divorzio, che lo ha umiliato, è stato la sua nemesi: da quel momento ha perso il suo primato morale e persino il suo museo di Diana, a Althorp, è stato definito - forse ingiustamente - volgare e privo di gusto. L'intera famiglia, poi, appare divisa. Prendiamo il Fondo di beneficenza: gli Spencer lo hanno criticato per avere concesso il nome di Diana sul "gratta e vinci" e sui vasetti di margarina, eppure erano stati proprio loro - la sorella del conte, Sarah, ne è presidentessa - a dare l'assenso. Quando attaccano il Fondo, che resta un bastione di fronte all'indifferenza del Palazzo e alle loro critiche, gli Spencer attaccano se stessi». E Mohamed al-Fayed? «Come tutti gli amici di Diana, rimasi irritato quando lei si legò a quella famiglia. Fayed è il tipo di uomo che se ti dice buon giorno subito guardi il cielo per controllare. E' essenzialmente un manipolatore che suscita sospetto. Ha usalo Diana per abbellire la propria immagine; ed è mostruoso - in questo sono d'accordo con il conte Spencer - che gente come lui continui ad accreditare la tesi del complotto. Sarebbe ora che gli Spencer e le guardie del corpo di Fayed portassero in tribunale la direzione del Ritz con l'accusa di negligenza, perché è colpevole di quella tragedia avendo consentito a un autista ubriaco e senza i necessari requisiti di guidare quell'auto». Ma Diana e Dodi si sarebbero sposati? «No, no, no. Assolutamente no. Siamo logici. Lei era appena reduce dal trionfo della sua campagna antimine in Bosnia e in Angola. Lo zio di I Dodi è Adnan Kashoggi, uno dei più noti mercanti d'anni. Come avrebbe potuto avere un minimo di credibilità se si fosse legata, con il matrimonio, a una famiglia che si è arricchita con la morte e la distruzione? Dodi era solo un compagno per l'estate, il perfetto esempio del tipo d'uomo che lei attirava: debole, prostrato ai suoi piedi. E dopo un po' lei si stancava. Se fosse vissuta, oggi ci si domanderebbe: Dodi chi?» Diana manca a Morton? «Provo un grande senso di rabbia e di frustrazione - dopo averne per anni scritto, esplorato il carattere, esaminato la personalità - per il fatto che sia morta quando, dopo cinque anni di lotta, aveva appena cominciato a dare un senso al proprio ruolo pubblico. E in quel momento così elusivo di trionfo, di maturità, di equilibrio della sua vita è andata a morire nel modo più banale». Ma i'banno uccisa? «Sciocchezze, si è trattato solo di un autista ubriaco. Il problema è che ci piace vivere in un mondo da fiaba in cui le dee non muoiono per un banale incidente d'auto, ma solo per un fulmine lanciato da Zeus o per la pugnalata al cuore inflitta da un'altra divinità. Se Puccini fosse ancora vivo, sarebbe indaffarato a comporre un'opera su Diana, una Tosca-Turandot-ButterflY sul Tamigi. Perché questa è una delle grandi storie tragiche dei nostri tempi». Fabio Galvano HA AIUTATO LE DONNE «Sono diventate più consapevoli di se stesse, a centinaia mi hanno scritto da ogni parte del mondo: abbiamo imparato da lei» L'HANNO UCCISA? «Sciocchezze, si tratta solo di un autista ubriaco. Ma se Puccini fosse vivo lavorerebbe a una Tosca Turandot Butterily sul Tamigi» Nella foto grande l'auto di Diana e Dodi dopo l'incidente nel tunnel dell'Alma a Parigi Sopra Andrew Morton ex giornalista biografo ufficiale della principessa A destra le immagini riprese con le telecamere nell'Hotel Ritz a Parigi A sinistra Lady Diana

Luoghi citati: Angola, Hanno, Inghilterra, Italia, Londra, Parigi