Ma chi punisce chi dà le notizie?
Ma chi punisce chi dà le notizie? PANEALPANE =\ Ma chi punisce chi dà le notizie? A quando ha lasciato la magistratura ed è entrato in politica, Antonio Di Pietro è uso strattonare rudemente il Palazzo, e più in generale le istituzioni in cui si esercita il potere e il contropotere. All'insegna di una giustizia che, considerata dai cittadini una esigenza primaria, si rivela troppe volte strabica o disattenta. Ma la sua irruenza, fatta per suscitare istintiva simpatia, lo induce a qualche brusco scivolone. Tale mi sembra la sortita dell'altro giorno davanti alla platea estiva della Versiliana, quando ha dovuto rispondere a domande sulla spettacolarizzazione della giustizia e sullo scandalo delle «comunicazioni giudiziarie a mezzo stampa». Troppo caldo era il caso del cardinal Giordano che, buon ultimo, ha appreso da un giornale di essere sotto tiro per sospetti infamanti. Di Pietro, affermando che il diritto alla riservatezza dell'indagato prevale sul diritto del giornalista a informare, ha ipotizzato una punizione inedita per i giornali che violino il segreto istruttorio. Poiché troppo esigua è la sanzione pecuniaria che colpisce l'estensore dell'articolo, si potrebbe usare come deterrente la chiusura della sua testata per dieci, quindici, venti giorni. Ma chi sarà mai a far uscire dalle procure un documento riservato? Se escludiamo un improbabile orecchiamento un orecchio «profondo» del cronista - dietro le porte degli uffici giudiziari o la sistemazione di microspie, bisogna per forza ammettere che le notizie segrete vengono fornite deliberatamente. La violazione del segreto d'ufficio ^^in reato grave - am- mette Di Pietro - «il guaio è che non si riesce mai a scoprirne la fonte». Così, in questo gioco a rimpiattino tra una fonte che si trova (dal giornalista) e un'altra che non si trova (dal magistrato), a farne le spese dovrebbe essere la stampa. Sembra strano, in questa contrapposizione annosa, che il maggiore indiziato o colpevole resti impunito, che dico, non venga nemmeno stigmatizzato con la necessaria severità. Possibile che la magistratura non sia capace dell'abituale, riconosciuta solerzia nell'indagare su se stessa? Possibile che le procure, il Consiglio superiore della magistratura, l'associazione di categoria siano così disarmati? E' opinione diffusa che troppo facilmente si rassegnino a tollerare una pratica che non ha l'uguale nel mondo civile. Quando è proprio su questo punto che occorre battere per garantire alla giustizia una passabile autorevolezza. «Parva favilla gran fiamma seconda»: più che le inchieste e le sentenze, che per quanto contestate vengono sottoposte a una serie di controlli, sono le notizie propalate ad arte che appannano la sua immagine. Inducono alla persuasione che in certi magistrati una straripante vanità mediatica si sposi alla faziosità politica, o almeno alla pretesa di occupare terreni che non gli competono. Sono ombre mortificanti che i magistrati consapevoli, al di là delle stanche deplorazioni, hanno tutto l'interesse a dissolvere. Lorenzo Mondo do j
Persone citate: Antonio Di Pietro, Di Pietro, Lorenzo Mondo
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