Di Pietro: giornalisti ricettatori di Guido Tiberga

Di Pietro: giornalisti ricettatori Blitz del senatore al Meeting di Rimini per firmare le petizioni di CI: «L'ho fatto perché ci credo» Di Pietro: giornalisti ricettatori Ma il Polo insorge: peggio dei comunisti RIMIMI DAL NOSTRO INVIATO «Sorpresa? Ma quale sorpresa? Questo è un meeting aperto a tutti...». E' il solito Antonio Di Pietro quello che arriva senza invito al Meeting di Comunione e liberazione, pronto a firmare le petizioni che stanno dividendo la maggioranza e a rincarare la dose sui cronisti «ricettatori» e sulla necessità di «sanzionare» i giornali che non rispettano il segreto istruttorio. Il tempo di un veloce saluto a Mancino, salito a Rimini a parlare del Mezzogiorno, ed è già bagno di folla: complimenti, applausi, gente che chiede una fotografia. La stessa scena delle Feste dell'Unità, popolate da quei diessini che, come non si stanca di ripetere Giorgio Vitladini, presidente della Compagnia delle Opere, ormai fanno parte a pieno diritto della parte «buona» della maggioranza. E nell'ulivo «simpatico» - insieme con D'Alema - finisce per essere arruolato anche Di Pietro, che pure ai tempi d'oro di Mani Pulite si trovò attaccato proprio dal Sabato dei ciellini. Tutto dimenticato, o quasi: «Abbiamo apprezzato che sia venuto qui con discrezione», dirà il portavoce del Meeting Robi Ronza, per poi aggiungere con il tono dello scampato pericolo: «E che non abbia voluto trasformare la nostra manifestazione in una tribuna del suo progetto politico...». Di Pietro sorride e ringrazia: «Molti degli amici che sono qui sono stati molto attivi nella raccolta di firme per il referendum - confida -. A Bergamo, il responsabile della raccolta era uno di CI». E allora come rifiutare l'adesione alle petizioni cielline? «Le ho firmate perché ci credo - ribatte a muso duro -. E perché tutte e due facevano parte del programma dell'Ulivo. Io sono fedele alla maggioranza, anche se c'è in giro gente che fedele non lo è affatto...». Una frecciata a Rifondazione, e un chiaro invito rivolto a Prodi: scaricare la compagnia dei comunisti. Ma non subito, perché le maggioranze non si cambiano in corsa: «Chi è stato eletto con i bianchi non può cambiare colore dice, rivolto anche alle tentazioni di Cacciari -. Ma i cartelli elettorali hanno vita breve: alle prossime elezioni l'Ulivo, se ha coraggio, si deve presentare da solo...». Agli uomini di Bertinotti le usci te di Di Pietro piacciono sempre meno. Il blitz del senatore a Pinuni si è appena concluso quando da Roma rimbalza la stoccata di Giù seppe Pisapia: «Sarebbe meglio che certi parlamentari frequentassero le aule di Camera e Senato piutto sto che le piazze», dice il presiden te della commissione Giustizia di Montecitorio, cui non è andata giù l'idea della «chiusura a tempo» dei quotidiani che pubblicano notizie coperte da segreto: «In Parlamento sono già state trovate soluzioni continua Pisapia -. Il problema esi ste, e ia mia Commissione ha ap provato un progetto che da un lato riduce i tempi del segreto alla chiusura delle indagini prelimina ri, e dall'altro porta l'ammenda per i trasgressori dalle 250 mila lire di oggi a 30-50 milioni». Di Pietro, a Rimini, spinge sull'acceleratore. Come spesso gli succede quando trova una metafora efficace, la ripete parola per parola: «Se il provento di una rapina viene ricettato e non si scopre l'autore della rapina, è giusto che il ricettatore continui a fare il ricettatore? Quale diritto deve prevalere insiste -: quello all'informazione o quello inalienabile della persona? Prendiamo il caso del cardinale Giordano: l'avviso di garanzia andava dato, mi chiedo che cosa sarebbe cambiato per l'opinione pubblica se la notizia fosse uscita 48 ore dopo, il tempo perché l'avviso fosse notificato. Il divieto c'è già, ma senza la sanzione non serve a nulla. E di sanzioni se ne possono trovare mille...». Le reazioni continuano a piovere sul Meeting fino a pomeriggio inoltrato. Gli ex colleghi di Di Pietro si tirano indietro: «Lui fa il politico e capisco che gli possa fare gioco una proposta del genere - dice da Milano Gerardo D'Ambrosio -. Io faccio il magistrato e non commento». L'Ulivo tace, ma il Polo è duro: per Marida Dentamaro, vicepresidente del Ccd, l'ex leader del Pool «sta delirando». L'azzurro Antonio Tajani ricorda che «soltanto i regimi comunisti mettono il bavaglio alla stampa. Se è quel che vuole Di Pietro, allora lo dica...». Per Francesco Storace, presidente della Commissione di vigilanza Rai, «qualcuno dovrebbe spiegare al senatore che quelli da punire sono i giornali che diffondono notizie false e calunniose, non quelli che informano i cittadini)). Polemiche lontane, battute che sfiorano il Meeting senza toccarlo. L'importante, per i ciellini, è la firma sotto le petizioni, che ormai segnano lo steccato tra il purgatorio della maggioranza «buona» e l'inferno dell'«Ulivo bulgaro». E Di Pietro, come la Turco, ha firmato. Guido Tiberga L'incontro ieri a Rimini fra il senatore Antonio Di Pietro e il presidente del Senato Nicola Mancino

Luoghi citati: Bergamo, Milano, Rimini, Roma