Il maschio? E' un dominatore

Il maschio? E' un dominatore POLEMICA. Parigi, l'ultimo «pamphlet» del sociologo Bourdieu divide gli intellettuali e scandalizza le femministe Il maschio? E' un dominatore Ma con il consenso delle donne PARIGI DAL NOSTRO INVIATO Più che della definizione che campeggia sulla copertina delì'Evènement du Jeudi - «l'intellettuale più potente di Francia» -, Pierre Bourdieu sarà orgoglioso di un privilegio riservato finora a personaggi del calibro di Filippo di Macedonia e Catilina: un'opera costruita per combattere la propria, nella fattispecie un pamphlet di 250 pagine concepito per demolirne la figura. Per scrivere Le Savant e la politique. Essai sur le terrorisme sociologique de Pierre Bourdieu (Il sapiente e la politica. Saggio sul terrorismo sociologico di Pierre Bourdieu), appena pubblicato da Grasset, la storica Jeannine Verdès-Leroux ha letto «oltre diecimila pagine» del suo obiettivo polemico («trovandovi ben poco da salvare»). Non ha potuto sfogliare le 150 del saggio che Seuil sta per mandare in libreria (ma di cui la Verdès-Leroux ha recepito senz'altro i boatos editoriali), e forse è stato un bene. la Domination masculine, l'ultima provocazione di Bourdieu, ha già sollevato lo scandalo delle femministe - e delle femmine tout court - di Francia. Indizio che forse ha colto nel segno. L'aspetto sorprendente della «dominazione» di una persona, di un sesso, di una classe sull'altra è che i dominanti siano tollerati o accettati come tali dai dominati, che evitano così sofferenza e umiliazione. E' quanto accade oggi, secondo Bourdieu, nel rapporto tra maschio e femmina. Partendo da uno studio etnologico sulla società kabyla (berberi d'Algeria), il «terrorista della sociologia» sostiene la sopravvivenza, nell'incoscio degli uomini e delle donne di fine secolo, della «visione fallocentrica» del mondo. Come ogni dominazione durevole, quella dell'uomo sulla donna non si basa sulla costrizione ma sulla persuasione: per usare le categoria di Rousseau, il dominatore ha perpetuato il suo status trasformando la forza in diritto e l'obbedienza in dovere, creando «una cultura e un modo di pen¬ sare che sono a loro volta prodotti della dominazione». Questo, secondo Bordieu, avviene sia nella società berbera, dove «le necessità della riproduzione biologica determinano l'organizzazione simbolica della divisione sessuale del lavoro e dell'intero ordine naturale e sociale», sia nella società occidentale. Le donne non hanno forse accettato di servirsi della compiacenza sessuale verso il maschio come leva per l'ascesa sociale? Non hanno recepito anche nell'ambito della politica e dell'amministrazione la divisione dei ruoli, assumendosi le attività di cura di malati, anziani, bambi¬ ni, immigrati? Hanno forse sviluppato forme di solidarietà reciproca contro i dominatori? Le donne votano le altre donne, si fanno visitare volentieri da un medico donna, collaborano di buon grado con un manager donna? Sarebbe agevole replicare che questo secolo ha visto un'avanzata straordinaria delle donne e il loro ingresso a pieno titolo nella politica e nelle professioni. Bourdieu non lo nega e riconosce «l'immenso lavoro critico» del movimento femminista (anche se sostiene di diffidare delle femministe in sé). Ma la «dominazione maschile» non cambia perché resistono, appena modificate, le strutture cognitive attraverso cui tale dominazione è percepita. La donna in carriera che deve lavorare meglio e di più per arrivare al livello di un uomo mediocre non è così diversa, sostiene Bourdieu, della donna berbera che prima del parto ingurgita il piatto rituale a base di pasta, «simbolo dell'erezione fallica». Dunque non cambierà mai nulla? Ma no, ammicca Bourdieu. Resta la lotta politica. Ma qualcuno crede ancora che la politica possa migliorarci, incidere sulla realtà, cambiare le cose? Nulla di tutto questo, replica indirettamente il pamphlet della Verdès-Leroux. Le tesi di Bourdieu sulla riproduzione e la distinzione tra i sessi? «Luoghi comuni, pregiudizi addobbati da scoperte scientifiche grazie a una lingua artificiale». Quello di Bourdieu appare alla sua critica il peggiore dei mondi possibili: «Doloroso, crudele, retto da gerarchie e violenze simboliche. Non si tratta neanche più della miseria del mondo (titolo di uno dei più celebri testi di Bourdieu, nda), ma della disperazione del mondo». Di che dividere gli intellettuali francesi. Infatti. Liberation difende Bourdieu: la sua non è certo una «gaia scienza»: del resto anche Max Weber, prima di lui, vedeva nella società moderna una «gabbia d'acciaio», e già a Durkheim la Francia pareva scivolare verso l'«anomia». L'Evènement si schiera con la Verdès-Leroux: il suo è un libro «magistrale», «una svolta nella storia delle idee», perché smaschera «l'inadeguatezza di fronte alla realtà» delle tesi del sociologo. Bernard-Henri Lévy infierisce: «Bourdieu? Un sopravvissuto della generazione dei maìtres degli Anni 60, di cui era un aiutante di campo poco dotato». Max Gallo invece lo difende come uno degli ultimi avversari del «pensiero unico» neoliberista. La parola ai francesi. La metà femminile, Pierre se l'è già giocata. Aldo Cazzullo Sostiene la sopravvivenza anche nell'inconscio femminile d'una visione fallocentrica del mondo Replica la storica Verdès-Lerowc: «Luoghi comuni, pregiudizi addobbati da scoperte scientifiche» A sinistra un disegno di Serguei da «Le Monde» A destra Bernard-Henri Lévy sotto il sociologo «terrorista» Pierre Bourdieu

Luoghi citati: Algeria, Francia, Macedonia, Parigi