ANNO MILLE

ANNO MILLE LO STORICO DI BORDO. Fra attese e progetti di rinnovamento la vita in un monastero ANNO MILLE ANNO MILLEirisvegioeimonaci ERA l'ora più buia della notte, quella che precede l'alba. Nel freddo dormitorio del monastero, i monaci dormivano nei loro letti di legno, sui pagliericci e i cuscini ripieni di paglia, ben coperti dalle pelli di capra cucite insieme a formare morbide trapunte. Qualcuno, che durante l'ufficio notturno aveva preso freddo nel coro della chiesa, pieno di spifferi in quella notte d'inverno, tossiva, qualcun altro russava, ma la maggior parte era immersa in un sonno silenzioso. Ma negli ultimi letti della fila, i più vicini alla porta che dava sulle latrine e sulla scala, due monaci erano svegli, e parlottavano a bassa voce; la Regola, beninteso, lo proibisce, ma in quel monastero l'osservanza non era certo così rigida da scoraggiare simili piccolezze. I due trasgressori erano entrambi giovani, uno, anzi, giovanissimo, tanto che i primi peluzzi della barba avevano appena cominciato a spuntargli sul mento; l'altro, invece, era più peloso, tanto che ogni due o tre giorni era costretto a impugnare il rasoio, ma anche lui non doveva avere più di diciotto o vent'anni. Il più giovane era appena entrato in monastero, l'altro viveva lì già da più di un anno, e come avviene nell'adolescenza, s'erano trovati vicini di gusti e di idee, oltre che di letto. «T'ho osservato tutti questi giorni, in refettorio» diceva il primo. «Non bevi mai vino. Cos'è, una penitenza, e se sì, chi te l'ha imposta?». «E' una penitenza» mormorò l'altro, «ma non me l'ha certo imposta l'abate. Ti accorgerai presto che qui di penitenze se ne impongono poche. No, me lo sono imposto io, e terrò fede all'impegno: non berrò mai più vino, in tutta la mia vita». II più giovane pensò che non conosceva nessuno, né in quel monastero né altrove, disposto a imporsi, volontariamente oltretutto!, un sacrificio così gravoso. Pensò anche che il vicino di tavola del suo amico poteva ritenersi fortunato: i monaci, infatti, ricevevano ogni giorno la loro razione di vino in un boccale di metallo, e l'uso stabiliva che ogni boccale fosse diviso fra due commensali, al pari della scodella per la zuppa. Poi s'accorse che quei pensieri l'avevano fuorviato, e che non aveva ancora indagato la cosa più importante. «Non so se posso chiedertelo» cominciò prudentemente. «Ma non riesco a credere che tu abbia motivo d'importi una penitenza così severa». L'altro sogghignò. «Non riesci a crederlo... Eppure sei appena entrato in monastero, finora hai vissuto in mezzo ai laici, e lo sai com'è il mondo, là fuori. Mi hanno detto che anche tu sei figlio di cavalieri, non è così?». E, poiché l'altro assentiva: «E allora, non l'hai visto come vivono? Dio non sanno neppure cosa sia, sono solo bestie assetate di sangue, ammazzare e fornicare è tutto quello di cui sono capaci. Non era così anche da te? Da me, ti assicuro, era così. Mio padre e i miei fratelli... Bè, sono solo degli assassini, bruceranno all'inferno. E io ho vissuto come loro, prima. Sei forte, mi ripeteva mio padre, sembri nato per andare a cavallo, imparerai a maneggiare la spada, quando io sarò vecchio sarai tu il capo della famiglia, e vuoi farti monaco? Ho dovuto imparare a leggere, di nascosto, me l'avrebbe impedito, se l'avesse saputo. Quand'ero con lui mi costringeva a montare in sella, passava intere giornate cercando d'insegnarmi a manovrare lo scudo, a colpire con la lancia; e davvero, alla fine ero diventato più bravo dei miei fratelli, m'inorgoglivo, addirittura, che sciagurato!, benché in cuor mio avessi già deciso che un giorno sarei diventato un monaco». «Continua» lo esortò il più giovane, giacché l'altro s'era zittito bruscamente. ((Aspetta! Non ti sembra che qualcuno ci stia ascoltando? Io questa storia non l'ho mai raccontata a nessuno, e non voglio raccontarla ad altri che a te». Tacquero entrambi, tendendo l'orecchio. Qualche monaco si rigirava nel sonno, facendo frusciare la paglia; fuori, in campagna, un gallo si schiariva la gola, presentendo l'alba ormai vicina; ma pareva proprio che lì, nel dormitorio, tutti fossero ancora sprofondati nel sonno. Il più adulto dei due riprese il suo racconto. «Un giorno mio padre ha litigato con 5 suo vicino. E' un cavaliere anche lui, ma non è del paese, è arrivato da chissà dove, il vescovo gli ha dato in feudo metà della foresta che c'è dietro il nostro villaggio. Quello ha cominciato a disboscare, prima ha assunto braccianti, poi ha fatto venire delle famiglie di contadini, hanno tirato su le case, si sono messi a coltivare; a farla breve, è diventato ricco, ha costruito una torre di pietra, mentre la nostra è solo di legno. E tutti i giorni i suoi pastori portano le bestie dalla nostra par¬ te della foresta, sconfinano nelle nostre stoppie, insomma si litiga continuamente. Un giorno mio padre non ci ha visto più, figurati che i pastori del vicino avevano fatto a botte con i nostri, il nostro capoccia era tornato a casa con la testa rotta; e mio padre ha deciso che aveva sopportato abbastanza. La sera abbiamo ingrassato le armi, dato doppia razione ai cavalli, e poi ci siamo svegliati prima dell'alba e siamo partiti. Io ci avevo pensato tutta la notte, non volevo andarci, ma tutti quanti mi hanno deriso; dovevi sentirli, mio padre e i miei fratelli, secondo loro ero un viziato, un fannullone, un pauroso. E io, che Dio abbia pietà di me, mi sono sentito punto nell'orgoglio, non ho voluto tirarmi indietro... «Siamo arrivati là che dormivano tutti; se si fosse potuto, volevamo attaccare la torre, ma c'erano degli uomini di guardia, sfondare la palizzata era impossibile. Però le case dei contadini erano fuori dal riparo, li abbiamo svegliati e cacciati fuori, e poi abbiamo appiccato il fuoco, buttando dentro la paglia incendiata, e abbiamo portato via le loro bestie. Le donne urlavano, i bambini piangevano, il fuoco divampava forte, il fumo era nero, le bestie muggivano; l'inferno non dev'essere peggio... E mio padre mi ha detto, guarda là, quello scappa!, e davvero c'era un contadino che si spingeva avanti mia vacca e cercava di metterla in salvo, con due bambini che gli correvano dietro e lo aiutavano a spingerla, con i bastoni... Io l'ho raggiunto subito, ero a cavallo, gli ho dato un colpo alla schiena col manico della lancia, è finito lungo disteso nel fango, ho preso la vacca per la cavezza e l'ho portata via... Poi, a casa, mio padre e i miei fratelli bevevano e ridevano, e io mi sentivo montare dentro l'orrore. Solo allora, capisci, davanti a quegli ubriachi, mi sono accorto di quel che ero stato capace di fare, e ho capito che dovevo fuggir via di lì, se non volevo dannarmi come loro. Mi sono alzato in piedi, ho detto che a casa non ci sarei più rimasto, che volevo andare in città, a studiare. E me ne sono andato davvero! Oh, ho dovuto discutere ancora per settimane, ma poi l'ho spuntata, mio padre mi ha mandato in città e da lì, appena ho po- tuto, sono venuto qui... Ma non berrò mai più vino in vita mia, per scontare quello che ho fatto a quel contadino, e perché non voglio assomigliare a mio padre e ai miei fratelli». «Io sono stato più fortunato», mormorò l'altro. «Mio padre è morto quand'ero ancora bambino. Se fosse vissuto, lo so bene, mi avrebbe costretto a diventare come lui, e non so se avrei avuto la forza di ribellarmi come hai fatto tu. Ma è morto, per fortuna, sicché posso dire anch'io come il Salmista: "Mio padre mi ha abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto"...». «E tua madre cos'ha detto?» volle sapere il compagno. «Mia madre è una buona cristiana. E' stata contenta. Già quand'ero bambino, e c'era ancora mio padre, era sempre lei che mi parlava di Dio; mio padre, lui, non parlava che di cavalli e di cani. E' lei che mi ha insegnato a leggere, e a recitare il breviario. Poi, quando mio padre è morto, ha cominciato a venire in casa un prete; veniva anche prima, ma più di rado, mio padre non lo amava, dopo, invece, veniva tutti i giorni, si fermava a mangiare con noi, lui e mia madre parlavano per ore. Quando ho detto che volevo studiare, e farmi monaco, mia madre ne ha parlato con il prete, e lui le ha detto che era giusto, se avevo quest'inclinazione. Se ci fesse stato mio padre, figurati! Avrebbe detto come il tuo: è forte e sano, perché sprecarlo facendolo studiare? Mandiamoci gli zoppi e i paralitici, in monastero, ce n'ò già tanti da pregare Dio quanto basta!». L'altro sorrise sprezzante; li aveva sentiti tante volte, quei discorsi, ormai gli davano la nausea. Ma quelli che parlavano così sarebbero bruciati all'inferno». «E la vita, qui, com'è?» riprese il più giovane, dopo una pausa. «Questo monastero ha un gran bisogno d'essere riformato» rispose l'altro, aspramente. «Ho visto cose, qui, che gridano vendetta al cospetto di Dio. Basta guardare quel che si mangia e si beve, l'hai veduto anche tu; la penitenza non sanno neanche cosa sia... E pensa a quelle tonache di stoffa pregiata, a quelle pellicce di lupo, che stanno appese al gancio sopra i letti di certi fratelli, o a quelle scarpine di cuoio traforato, con le punte all'insù, fatte per piacere alle donne più che per piacere a Dio. Ce n'è che si vestono così, e poi escono da soli dal monastero, come se niente fosse, stanno in giro dei giorni intieri e nessuno sa cosa fanno, a guardarli così agghindati sembrano delle puttane, non dei monaci! Ma aspetta, vedrai che le cose cambieranno. Ormai non siamo i soli a pensarla così, e quando saremo abbastanza, ci faremo sentire. Un giorno qui dentro governeremo noi, e allora la festa sarà finita». I ragazzi tacquero. Attraverso i battenti di legno che chiudevano le finestre senza vetri cominciava a filtrare la luce incerta dell'alba: più di un gallo, ora, si sgolava in lontananza, e proprio in quel momento la campana della chiesa attaccò a suonare. «Mattutino» esclamò uno dei due; e l'altro: «Ogni giorno lo suonano un po' più tardi. Sono pigri come porci. Ma anche questo ha da cambiare...». Infilate, sulla camicia con cui avevano dormito, la tonaca e le scarpe, i due si precipitarono alla porta e scesero le scale che conducevano alla chiesa. Gli altri monaci, senza fretta, e per lo più sbuffando e grugnendo, si stavano egualmente alzando, e uno dopo l'altro raggiunsero l'uscita, dirigendosi chi alla latrina, chi alla scala; finché il dorniitorio non rimase deserto. 0 quasi: perché nel letto accanto a quelli dei due giovani, un monaco già avanti negli anni aveva cacciato la testa sotto la pelle di capra, e deciso che per una volta avrebbe anche potuto scendere m ritardo al Mattutino. Non era sonno però, né quella pigrizia che i due nuovi avrebbero considerato uno scandalo da estirpare. Voleva riflettere su quello che aveva appena sentito; giacché era sveglio da un pezzo e non aveva potuto fare a meno di ascoltarli. «Ecco come sono i giovani, pensò, credono sempre di sapere tutto, di poter decidere quel che è giusto e quel che è sbagliato. Eh, il mondo sta cambiando, non è più quello dei miei tempi... Noi non avremmo mai parlato in questo modo dei nostri genitori! E mio padre, del resto, era diverso; era un potente di questo mondo, sì, un uomo che sapeva giudicare e punire, ma era un uomo giusto, e aveva letto le storie degli anticlù e i codici delle leggi... Lui non mi avrebbe impedito di farmi monaco se lo avessi desiderato; anzi, a dire la verità è lui che mi ha portato qui, quando avevo appena undici anni, e non mi ha chiesto se ero d'accordo». 11 vecchio si stupiva di ricordare ancora così vividamente, a tanti aimi di distanza, il giorno in cui il padre e la madre l'avevano consegnato all'abate; da allora non li aveva mai più rivisti. Ci pensava spesso, e non senza amarezza; l'avevano scacciato come se fosse stato un bastardo, per amore del Creatore, certo, per destinarlo a una vita più pura e più felice, e tuttavia... «Certo, pensò, per questi giovani la vita del monaco è tutt'altra cosa; la vivono come una guerra, loro, con tutto l'odio che dicono di provare per i padri e per i fratelli rimasti nel secolo, non sono meno aggressivi di loro, non meno assetati di sangue. Sì, il mondo sta cambiando, e chissà se ui meglio o in peggio, se sta per finire o per rinascere. A ben pensarci, non ci sono mai stati così tanti monaci giovani, e per quanto possa essere difficile ragionare con loro, bisogna rallegrarsene. E in campagna non si costruiscono soltanto torri di pietra, ma anche cappelle; non ho mai veduto tanti cantieri aperti come quest'anno, non c'è un villaggio nei dintorni in cui non si sta rifacendo la chiesa. Ecco, sono passati mille anni dalla nascita di Nostro Signore e sembra quasi che il mondo voglia rivestirsi d'un abito nuovo. Chissà, forse ne durerà ancora altri mille, benché paia impossibile, vecchio com'è...». In quel momento sentì un passo lento e pesante sabre le scale, e capì che un monaco era stato mandato in cerca dei ritardatari. Sospirando uscì dal caldo rifugio delle pelli di capra, staccò la tonaca dal gancio, infilò le scarpe e si preparò a scendere, per cantare con i fratelli le lodi del Signore. Alessandro Barbero Dentro le sacre mura c'è chi fa penitenza e desidera regole più severe per l'ordine, ma c'è anche chi si veste di pellicce e stoffe pregiate per piacere alle donne più che per piacere a Dio Fuori, nel mondo, i feudatari si fanno la guerra, mettono a ferro e fuoco i villaggi contadini e passano il tempo a banchettare Dpppp

Persone citate: Alessandro Barbero