Il patrimonio del prelato nel mirino di Pierangelo Sapegno

Il patrimonio del prelato nel mirino Il patrimonio del prelato nel mirino Iconti non tornano, disposta un'indagine LE MOSSE DELL'INCHIESTA LAGONEGRO (Potenza) DAL NOSTRO INVIATO Oggi, ò passata una settimana. Lo scale della Curia, a Napoli, sono vuote, per la prima volta. Strano, ma è come so il cardinale avesse spento le luci. Anche a Lagonegro, il Palazzo di Giustizia pare diverso dal solito. Sulla scrivania del procuratore, mischiati alle carte dell'inchiesta ci sono i telegrammi. Clara R., da Roma: «Non lasciatovi intimidire, ma siate certi che state difendendo lo Stato e la Chiesa. Dio ve ne è grato». Un parroco, dalla provincia di Matera" «Vanno bene le indagini, però ci vuole rispetto per la Chiesa e lo istituzioni». Scrivono usurati e preti, scrive il popolino, scrivono mamme e commercianti. «Siete gli eroi che ci rendono giustizia», scrive un poveraccio da Potenza, che racconta come ha perso tutti i soldi suoi. E alle 11 e 30 da Sant'Arcangelo, Lupo Solitario comincia a parlare alla sua radio, sorseggiando un caffè e rovesciando le sue accuse con la sua voce strascicata, come quella di un predicatore. «Io vi dico che adesso stanno svolgendo indagini anche sulle violazioni della legge 219, sui miliardi piovuti per il dopotorremoto, che qualcuno si ò intascato facilmente...». E' passata una settimana. E da oggi le luci sembrano tutte addosso al fratello del cardinale. Sembrano dire, gli inquirenti: prima di andare avanti, bisogna capire bene chi era e cosa faceva Mario Lucio Giordano. Anche perché il fratello dell'arcivescovo di Napoli è davvero una miniera di sorprese. Si può partire da quando lavorava in banca, vent'anni fa, ed era un direttore della filiale di Sant'Arcangelo della Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania. Un bel giorno, di punto in bianco, il geometra Mario Lucio Giordano abbandona l'incarico. Strana coincidenza: proprio in quel periodo sono arrivati gli ispettori della Banca d'Italia, e c'è un'inchiesta su un ammanco. Lupo Solitario: «Viene messo subito tutto a tacere, di quel buco nessuno sa più niente, o anche dopo non succede niente e Mario Lucio Giordano comincia a far soldi da un'altra parte». Il geometra diventa imprenditore edile, e partecipa alla ricostruzione. «Il 95 per cento dei lavori di Sant'Arcangelo passa fra le mani del fratello del cardinale. Fa le perizie giurate degli immobili che si dicono di- sastrati, e poi dirige restauri e rifacimenti». Non solo a Sant'Arcangelo, ma pure ad Aliana, in provincia di Matera, il paese di Carlo Levi. Qualche tempo fa, gli uomini della Guardia di Finanza, sono venuti qui a cercare carte e documenti sul dopoterremoto. E' un'altra delle tante inchieste che ha nel mirino il fratello del cardinale. Perché le cose da capire sono tante, e vorremmo capirle un po' anche noi. Prima domanda: come faceva questa banda di usurai a non mettersi i miliardi da parte, ma a dover rincorrere sempre ammanchi e buchi da coprire? I signori della Cooperativa del credito avevano inventato l'usura a perdere? E com'è possibile che il superattivo geometra Mario Lucio, una vita e una carriera in bilico fra prestiti, banche e case da costruire, fosse sempre lì a chiedere soldi al fratello? Che almeno questa debba essere una domanda che si pongono pure alla procura di Lagonegro, è dimo¬ strato dal fatto che i magistrati hanno ordinato un'indagine patrimoniale sullo sfortunato geometra di Sant'Arcangelo. E probabilmente sul cardinale perchè non tornano i conti di nessuno. Non è l'unica indagine e non è l'unica domanda in cerca di risposte che riguarda Mario Lucio Giordano. Gli inquirenti sospettano che potesse aver cominciato a fare l'usuraio già prima. Per questo hanno aperto un'altra inchiesta sulla Cassa Rurale di Aliano, dove il geometra faceva i lavori del dopoterremoto. In quella banca, fallita 4 anni fa, il presidente era un sacerdote, don Pierino Dilenge. Il fratello del cardinale aveva un conto intestato Gif (Giordano Lucio Finanziaria), che aveva chiuso in fretta e furia e trasferito al Banco di Napoli, a Sant'Arcangelo. Altra domanda: perché questo fratello alla costante ricerca di soldi ne chiedeva sempre più di quelli che aveva bisogno? Perché si fa dare 670 milioni, quando ne servivano 600 per ripianare i suoi buchi? E poi c'è la storia della firma falsa: nonostante la smentita della Finanza, ce n'è e più di una. Era quella depositata sul conto, «e il cardinale non l'aveva mai contestata», fanno sapere gli inquirenti. C'erano pure le altre, sugli assegni, che non erano di Sua Eminenza. Solo che l'arcivescovo di Napoli aveva sempre riconosciuto il movimento dei suoi conti. Anche questa volta, come si dice, poteva non sapere? Certo, qualche dubbio, tutta questa storia lo lascia. Sullo sfondo, non dimenticatelo, c'è sempre la 'ndrangheta e l'imprenditore calabrese in odore di malaffari. Se c'entra qualcosa e perché, nessuno l'ha ancora capito. Lui, intervistato dalla tivù, nega con anima candida: «Questi signori li ho incontrati una volta e mi hanno chiesto dei soldi. É dove li trovo io?, gli ho risposto. E poi gli ho sbattuto la porta in faccia». Quel giorno non aveva tempo da perdere, ha detto. Pierangelo Sapegno