I nuovi boiardi salgono sul ring

I nuovi boiardi salgono sul ring avverte: l'America vi aiuterà se non tradirete le riforme politiche ed economiche IL PROCLAMA PELLO ZAR I nuovi boiardi salgono sul ring Tra veleni e debiti nasce un altro potere MILIONI di russi hanno visto ieri sera un Presidente che sembrava non rendersi conto della tremenda gravità di ciò che sta accadendo in un Paese sul quale quest'uomo ha tuttora, sulla carta, poteri quasi assoluti. Ma che non è più, evidentemente, in condizione di esercitarli. Mentre l'intervista andava in onda, infatti, a cinquecento metri in linea d'aria il premier designato Ceniomyrdin era seduto a uno dei molti tavoli di convulse trattative per definire i contorni di un'intesa politica il cui obiettivo, tra l'altro, è di riempire un pauroso vuoto di potere, di idee, di programmi. Tavoli formali, tavoli segreti, tavole di passerelle sospese sopra un abisso di cui nessuno al momento vede il fondo. Quello della Duma, ieri sera, vedeva i deputati fronteggiare Cernomyrdin e il capo dell'amministrazione presidenziale Jumashev. Dal quale emergeva subito che l'intesa non c'è e sarà difficile da trovare: né tra i comunisti e il premier, né tra questi e il Presidente. Lunedì la Duma discuterà la candidatura di Cernomyrdin, ma molti pensano che Viktor Stepanovic non riuscirà a passare al primo colpo. «Non c'è tempo per un accordo!», esclama angosciato nel corridoio un deputato del partitino del premier. Forse senza sapere che Cernomyrdin ha usato le stesse parole pochi minuti prima, alzandosi dal tavolo del Cremlino attorno al quale si erano seduti il Presidente, il capo della Camera Alta Egor Stroev, il sindaco di Mosca Jurij Luzhkov: «Non possiamo tirare sul prezzo per una dichiarazione politica comune della commissione trilaterale, semplicemente non ne abbiamo il tempo!». E' una corsa contro il tempo e l'eredità di una riforma già affondata, che qualcuno spera ancora di tirare a galla e altri danno ormai per perduta, alcuni felicitandosene, altri strappandosi i capelli. Ghennadij Ziuganov, che non è tra questi ultimi, riceve l'ambasciatore americano James Collins - «su sua richiesta», dice orgogliosamente il comunicato comunista - venuto per sapere se i comunisti vogliono rifare il comunismo. E il leader comunista risponde che il suo esercito di deputati andrà avanti nella richiesta di destituzione di Eltsin, «origine del caos» in cui la Russia è precipitata. Risposta a Collins e anche al cancelliere Kohl, che da Bonn promette aiuto, a patto che Eltsin rimanga al suo posto, non importa se nel governo ci saranno i comunisti. Grazie per la concessione, ma Ziuganov ha capito che può chiedere molto, anzi che deve chiedere molto, moltissimo, perché se non lo facesse dovrebbe poi spiegare come mai è venuto in soccorso anche questa volta, portatore d'acqua degli oligarchi che hanno depredato il Paese. E infatti ottiene. Le prime teste cadono. Ciubais, l'uomo di fiducia del Fondo Monetario Internazionale, viene dimesso con un decreto di Eltsin senza neanche il bisogno di una motivazione. Intanto tutti capiscono. Dimesso anche Boris Nemtsov, fantasma di delfino presidenziale durato mezza stagione. L'aveva chiesto lui, ma non fa differenza: non gli avrebbero permesso di restare. Nell'affanno di rimanere al loro posto anche ex «riformatori» di acciaio smaltato, come il presidente della Banca di Stato, Dubinin, diventano statalisti e cominciano con le nazionalizzazioni. La Banca di Stato chiede alla Duma, in fretta, in fretta, di approvare la legge che autorizza la presa di controllo statale di una delle maggiori holding del neocapitalismo russo, Sbs-Agro, quella dell'oligarca Smolenskij. Tutto insieme, holding e banca, «per salvare milioni di risparmiatori», dice Dubinin. Mentre sottobanco la sua Banca Centrale sta già stampando moneta per le altre banche e per questa, nel disperato tentativo di non chiuderle tutte. Senza rendersi conto, o rendendosene conto, non fa differenza, che questi nuovi miliardi di rubli vengono immediatamente usati, nel panico, dalle stesse banche, per comprare altri dollari. Non a caso. E' una delle richieste che i deputati comunisti, per bocca di Selezniov, speaker della Duma, hanno già precisato: moderata emissione di 30-50 miliardi di rubli e ripulsa delle condizioni delle organizzazioni finanziarie intemazionali. Quelle condizioni - esclama Selezniov, che passa per un moderato - che «il truffatore Ciubais ha negoziato con l'Occidente». E ce ne anche per Cernomyrdin, che quella «nefasta politica monetarista iniziata da Gaidar» ha appoggiato e realizzato. Tanto perché il premier ripescato sappia che anche lui è sotto scrutinio e che la via non gli verrà spianata senza fargli pagare le sue «colpe». Colpi durissimi vengono scambiati sul ring ancora rutilante di luci della capitale russa. Gli oligarchi come Smolenskij reagiranno. Alleati di Cernomyrdin contro Eltsin non possono subire di essere colpiti da Cernomyrdin per salvare Eltsin. Sono debitori allo Stato di tutto, ma sono creditori di una buona metà di obbligazioni a breve termine di cui Cernomyrdin ha ratificato il sequestro di fatto. Sono almeno 20 miliardi di dollari spariti nella voragine. Altri dieci miliardi di dollari li ha perduti Dubinin (che comprava obbligazioni, in violazione della legge, per sostenere il governo) e altri dieci miliardi di dollari sono perduti per gli investitori esteri. In tutto 40 miliardi di obbligazioni che adesso varranno più o meno 6 miliardi. Chi paga? E come si redistribuirà il potere dopo questa girandola di portafogli svuotati, di capitali che fuggono all'estero, di rispanni evaporati? E' una partita mortale in cui le alleanze sono tutte mobili, gli schieramenti si disfano e si formano come le nuvole leggere d'un pomeriggio torrido d'estate. Lebed torna a Mosca dalla lontana Krasnojarsk di cui è governatore, per dare il suo appoggio a Cernomyrdin, pur sapendo, e forse sperando, che «difficilmente ce la può fare». Se non ce la farà sarà un candidato in meno sulla piazza. Il banchiere Berezovskij, grande elettore di Cernomyrdin, tesse la tela che dovrebbe convincere Tatiana ad accettare le condizioni di un onorevole e non pericoloso ritiro del padre e proprio. Ma intanto è ormai di casa negli uffici dei leader comunisti della Duma, coi quali tesse un'altra parte della tela. Quella che dovrebbe consentirgli di I quadrare il cerchio: comunisti «dentro» con Cernomyrdin, da un lato, ma senza esagerare. Perché altrimenti sfumerebbe il progetto di tenere agganciata la Russia al Fondo Monetario. Il quale, a sua volta, tenendo conto dei coimmisti, dovrebbe continuare a sborsare i miliardi senza pretendere coerenze che impedirebbero a Berezovskij di farne man bassa. Cosa che, del resto, è avvenuta fino a ieri e non si vede perché Berezovskij debba essere considerato un pazzo quando pretende semplicemente che continui anche domani. Ma la barca di Berezovskij ieri ha faticato a spiegare la sua vela. L'intervista televisiva di Eltsin sembra avere posto fine al tentativo di Cemomyrdm di convincere il Presidente ad accettare di farsi «limare» i poteri presidenziali, ottenendo in cambio un molo rappresentativo fino alla fine del suo mandato. Pasticca avvelenata che Eltsin non ha ancora ingoiato. Di economia non capisce niente, ma la manovra politica non gli sfugge mai, perché è la sua ultima linfa di vita. Ieri il generale Lebed, in un momento di congedo psicologico, ha azzeccato il giudizio: «Eltsin non concepisce se stesso che come Presidente. Se gli venisse meno questo supporto, impazzirebbe». Così il vecchio e malato Presidente capisce che possono anche dargli garanzie di pensione senza minacce, che possono anche regalargli una vecchiaia serena, a lui e alla famiglia e ai famigli. Ma non gl'importa, perché equivarrebbe a morire. E, fuor di romanticismo, egli sa bene che mettendo la sua firma sotto un documento di volontaria, parziale abdicazione, aprirebbe un varco nella diga, il cui esito finale sarebbe quello di non terminare il mandato. La Russia, è vero, non è l'Indonesia. Anche nel senso che conta meno, ormai, quanto a influenza sui mercati finanziari. Ma Boris Eltsin non è Suharto e non si lascerà mettere fuori gioco con tanta facilità. Lui è appena entrato nel G-8. Lui può dare del tu a Bill e Helmut. Lui sa che le pacche sulle spalle, date e ricevute in questi anni, avranno un peso nelle prossime elezioni tedesche e in quelle americane. Lui sa che il successo della riforma mssa era fino a ieri la medaglia più lucente sul cuscino di velluto del Presidente americano. Il quale sta per arrivare a Mosca per far le viste che nulla è perduto e tranquillizzare Wall Street e i sondaggi d'opinione che lo vedono, al contrario, sempre più azzoppato. Vi si aggrappa, allora, con tutte le sue ultime energie. Che paglùno il conto, anche loro, per i favori che zar Boris ha loro elargito, fino in fondo. Giuliette Chiesa ££ Non vado da nessuna parte Lavorerò come previsto E'difficile deporre il presidente e visto il mio carattere è impossibile ■■ Cernomyrdin ora sono stati dati molti poteri Si consulti con me sulle questioni strategiche e per il resto decida lui j j Tutti sanno che sono ottimista per natura altrimenti non varrebbe la pena di vivere Credo si possa uscire dalla crisi fi fi Da presidente devo promettere che cercheremo di tutelare i risparmi ma non posso escludere che i prezzi saliranno p ■ Il miliardario Berezovskij è di casa al Pc e intanto discute con la figlia di Eltsin Gli oligarchi hanno perso decine di miliardi di dollari e adesso cercano alleati che paghino questioni trategiche e per il resto decida lui j j di vivere Credo si possa uscire dalla crisi non posso escludere che i prezzi saliranno p ■

Luoghi citati: America, Bonn, Indonesia, Mosca, Russia