Clinton, il giorno del dubbio

Clinton, il giorno del dubbio Clinton, il giorno del dubbio Washington stava per cancellare il vertice L'ALLEATO PERICOLANTE NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Almeno per alcune ore, ieri, alla Casa Bianca si è discusso seriamente se annullare o no il viaggio di Bill Clinton in Russia di lunedì prossimo. C'era la preoccupazione per il «segnale» tremendo che l'eventuale decisione del Presidente di restare a Washington avrebbe lanciato, ma c'era anche la preoccupazione contraria: che figura si fa se si parte per andare a incontrare un Presidente in carica, Boris Eltsin, e quando si arriva ci si trova di fronte a un Presidente dimissionario? E anche se questo non dovesse accadere, che senso ha mandare Clinton a fare mostra di appoggio al «riformatore» Eltsin proprio nel momento in cui lui sembra rinunciare proprio alle riforme? Il problema non era di facile soluzione e gli uomini della Casa Bianca devono averlo discusso a lungo, visto che il «briefing» fissato per le 11.30 del mattino in cui il consigliere per la Sicurezza Nazionale Sandy Berger doveva illustrare ai giornalisti il programma, gli scopi, le aspettative della visita di Clinton in Russia, a un certo momento è stato rinviato alle 4 del pomeriggio, cioè le 10 di sera in Italia, con la scusa (non creduta da nessuno) di un discorso commemorativo di Martin Luther King aggiunto all'ultimo momento nel programma di Clinton. (Per inciso: il discorso è stato pronunciato alle 2 del pomeriggio, cioè molto dopo l'orario previsto per il <<briefìng»). Nel frattempo, evidentemente, si sperava che alcune cose si chiarissero. Quando è arrivata l'intervista di Eltsin e il suo «non intendo assolutamente dimettermi», quegli stessi uomini che fino a poco prima avevano dubitato sull'opportimità del viaggio hanno preso a confermarlo con foga, perfino fingendo una certa sorpresa per le voci di un suo possibile annullamento che si erano diffuse. Ma è probabile che non siano state solo le parole di Eltsin a convincere Washington. Nelle stesse ore in cui alla Casa Bianca si discuteva, il vicesegretario di Stato Strobe Talbot era a Mosca e stava lavorando sodo alla «preparazione» dell'arrivo di Clinton. Si era incontrato con Eltsin, il Presidente russo lo aveva sicuramente informato di ciò che di lì a poco sarebbe andato a dire in tv e gli aveva detto anche cose che poi i telespettatori russi non hanno sentito: che comunque vadano le cose non ci saranno correzioni in politica estera (cosa suggellata dalla permanenza di Primakov al ministero degli Esteri); che era pronto per la firma comune un documento altisonante sulla sicurezza intemazionale e che il paventato passo indietro nel processo riformatore era da considerare momentaneo, proprio per garantire il mantenimento del «corso fondamentale», un'espressione che 24 ore prima aveva usato proprio Sandy Berger. Sono bastate quelle «garanzie» di Eltsin per indurre Washington a confermare il viaggio? Forse c'è stato dell'altro. Mentre il Presidente Eltsin dedicava 15 minuti del suo tempo a discutere con Strobe Talbot, infatti, un altro personaggio che in questo momento a Mosca ha un molo decisivo, il leader comunista Gennady Zuganov, dedicava 45 minuti a James Collins, l'ambasciatore americano. Né dalla Casa Bianca né dal dipartimento di Stato si è saputo nulla di cosa i due si siano detti, ma l'impressione che Zuganov L'ambasciatore Usa incontra il leader comunista Per avere garanzie sul passaggio dei poteri?