NON BASTA L'EURO
NON BASTA L'EURO NON BASTA L'EURO QUANDO tutto crolla è diffìcile che i soli ragionamenti stiano in piedi, nondimeno a una consapevolezza ci si deve aggrappare: non è vero che l'attuale apocalisse finanziaria mondiale sia incontrastabile. Le crisi finanziarie internazionali sono governabili - lo furono quella dell'America Latina nel 1982 e quelle messicana ed europea dei primi Anni 90 - a patto che si assuma tempestivamente la responsabilità di governarle. Ma, in un'atmosfera da vigilia del Giudizio universale, la crisi del capitalismo finanziario mondiale e in particolare i suoi sviluppi russi stanno proprio mettendo a nudo un vuoto di capacità di governo e di responsabilità politica da parte dell'Europa. La crisi asiatica è nata da un fenomeno di natura propriamente economica, l'eccesso d'investimenti reali e finanziari, che porta inesorabilmente a violenti choc. Ogni Paese può rispondere alla crisi distribuendone in modi diversi i costi, sui contribuenti, sugli azionisti, sulle banche oppure sulla propria valuta, ma non può rimediare ad anni di eccessi passati. Il contagio tocca poi i Paesi vicini inducendoli in recessione. E' in questa fase che i Paesi più solidi possono intervenire per mantenere la crisi locale anziché globale. Si tratta di garantire liquidità a breve termine e certezze di stabilità a medio termine, cioè di governare il sistema delle aspettative. La crisi russa ha aggiunto però un'ulteriore sfida: quella di negoziare garanzie politiche a fronte dell'instabilità e della svolta dirigista di Mosca. Gli effetti reali della svalutazione del rublo sull'Europa non sarebbero devastanti. L'economia russa è più piccola di quella svizzera, conta per il 2,9 per cento dell'export totale europeo. Un dimezzamento degli scambi ridurrebbe il pil euro¬ peo di non più dello 0,3 per cento. La caduta dei volumi dell'export sarebbe compensata inoltre da una caduta dei prezzi dell'import. Più sensibili sarebbero le conseguenze finanziarie. Le banche europee hanno crediti per circa 50 miliardi di dollari nei confronti di debitori russi. Il 60 per cento di essi fa capo a banche tedesche. La cancellazione in un colpo dei crediti comporterebbe una riduzione del capitale bancario di circa il 13 per cento, pari cioè a oltre un anno di profitti. Le banche europee però, in particolare quelle tedesche, da anni hanno costituito nei propri bilanci accantonamenti a fronte di perdite dei prestiti russi per circa l'80-90 per cento, trasferendone così il costo, per vie fiscali e assicurative, alle casse dello Stato e quindi ai contribuenti. Pur non trascurabili, quindi, gli effetti economici della crisi russa sono meno pervasivi di quelli di natura politica. D'altronde, non solo le cause della crisi russa hanno natura appunto politica, ma, come detto, anche la distribuzione dei costi nei Paesi occidentali tocca il rapporto tra collettività e cittadino e non solo nel caso dei costi finanziari o fiscali: nelle ultime ore, per esempio, a Bonn si comincia a studiare il rischio di ondate di immigrazione dalla Russia. In prospettiva più ampia vale anche la pena di calcolare le conseguenze che il protrarsi della sfiducia finanziaria può avere sull'ammodernamento del modello sociale ed economico europeo. Una forma di azionariato popolare è per molti l'unica ricetta per la soluzione dei due maggiori problemi della società e dell'economia europee: quello dell'occupazione e quello delle pensioni. Non solo quindi per le intuitive ragioni geografiche, l'Euro- Carlo Bastasin CONTINUA A PAG. 4 PRIMA COLONNA
Persone citate: Carlo Bastasin
Luoghi citati: America Latina, Bonn, Europa, Mosca, Russia
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