L'eretico dimenticato

L'eretico dimenticato DISCUSSIONE. Perché sono «fuori catalogo» i libri del filosofo della «Critica del gusto»? L'eretico dimenticato Della Volpe, marxista antihegeliano S~ ARA' giusto aver dimenticato Galvano Della Volpe, filosofo marxista, a metà in odore di eresia I a metà lievitante nell'ufficialità, morto or sono trent'anni, il 13 luglio del 1968, considerato un caso non facilmente etichettabile nel variegato mondo deH'intelligencija comunista? 0 sarà un fatale errore del mercato, l'ennesima banale messa nel dimenticatoio d'una cultura senza memoria storica e senza identità? Il manifesto di ieri, nell'articolo di Massimo Raffaeli «Un marxista fuori catalogo», ha aperto la discussione denunciando l'oblio in cui gli editori hanno lasciato cadere gli scritti di Galvano Della Volpe: gli Editori Riuniti non si sognano di riesumare i sei volumi delle sue Opere, mentre Feltrinelli non ripubblica il principale testo d'estetica, La critica del gusto, apparso nel 1960 e riedito nel 1966. Chi era questo pensatore di nobili natali (era conte), di ostica scrittura (da filosofo tedesco), di pessimo carattere (con celebri sfuriate)? Nato a Imola nel 1895, laureatosi a Bologna nel 1920, vince la cattedra di Storia della Filosofia all'Università di Messina, dove resta tutta la vita, non per propria scelta, e già questo la dice lunga. Il suo allievo Lucio Colletti spiega infatti: «La carriera accademica venne boicottata dalle Botteghe Oscure. Nessuno lo chiamò mai altrove. Fui testimone delle ultime speranze, quando immaginava che Ugo Spirito lo chiamasse a Roma per la cattedra di estetica». Conferma il germanista Cesare Cases: «Non aveva dalla sua il gruppo di potere del partito comunista. Da questo punto di vista mi era abbastanza simpatico. L'unico al quale fosse simpatico, perché in realtà aveva un caratteraccio». Come non pochi accademici comunisti aveva coltivato sim patie fasciste. I compagni potè vano in particolare rimproverargli un articolo sull'Estetica dei carri armati, sulle pagine di Primato, la rivista di Bottai. Ma la vera colpa, agli occhi della nomenklatura, era l'interpretazione del marxismo in chiave antihegeliana e antidealista. «Era un eretico - spiega Colletti, che ha dedicato un profilo al suo maestro in Fine della filosofia e altri scritti (Ideazione, 1996) -. Curò per le Edizioni di Rinascita le opere giovanili di Marx, dichiarando fondamentale la Critica del diritto statuale di Hegel, mai considerata dal marxismo ufficiale, che era poi quello sovietico. Era l'assertore d'un Marx critico radicale di Hegel, contro la tradizione italiana della continuità fra Hegel e Marx e, sul piano nazionale, della linea che univa De Sanctis Labriola Croce e Gramsci». Eppure Galvano Della Volpe apparve, negli Anni Cinquanta, anche un difensore dell'ortodossia togliattiana, sostenitore del primato della politica sulla cultura in una famosa polemica con Norberto Bobbio, propugnatore viceversa dell'intellettuale come suscitatore di dubbi (polemica da cui nacque il celebre saggio bobbiano Politica e cultura, da Einaudi nel 1955). Per quanto lontano dalla vulgata marxista, e addirittura revisionista rispetto allo stalinismo, tuttavia in due significativi testi di filosofia politica, Libertà comunista (1946) e Rousseau e Marx (1957), Della Volpe proponeva la liberazione dell'uomo dall'alienazione attraverso la rivoluzione comunista. «E' certamente un pensatore difficile da collocare, anzi non collocabile - suggerisce Cases -. E per quanto esercitasse un fascino sui giovani e avesse molti rapporti personali, non ha fondato una scuola». In realtà non è del tutto vero che gli scritti di Galvano Della Volpe siano ormai «fuori catalogo». Proprio gli Editori Riuniti hanno riedito nel 1997 Rousseau e Marx, nella «Biblioteca tascabile», mentre le edizioni di Storia e Letteratura hanno in catalogo Eckhart o della filosofia mistica. Ma la polemica del manifesto riguarda soprattutto gli scritti estetici. Nei quali Della Volpe si fece sostenitore d'un razionalismo anticrociano e dell'arte come espressione della vita. Già in un articolo del quotidiano comunista a ridosso dell'anniversario («Un filosofo in guerra contro la metafisica» di Enrico Livraghi), si ricordava in particolare La critica del gusto, ma anche II verosimile filmico pubblicato nel 1954 in controtendenza con la trionfante ideologia neorealista. Ma da allora molta acqua è passata sotto i ponti. «Confesso oggi, come confessai a Galvano allora - dice Colletti -, che non ho letto La critica del gusto perché all'epoca i miei interessi convergevano sull'economia marxista. Però le cose destinate a durare sono il volume su Eckhart che ha avuto in Italia un'accoglienza pigra ma ottima all'estero, e i due tomi sulla Filosofia dell'esperienza di David Hume, saggi di storia della filosofia che non risentivano di preoccupazioni ideologiche». «Direi che era un pensatore eretico anche per quanto riguarda l'estetica - dice Cases -. Di sicuro non lo si poteva definire lukaciano, anzi ricordo che Gyorgy Lukacs lo attaccò ferocemente per un certo articolo. Come eretico lo difendo anch'io. Come pensatore devo dire che non lo stimavo affatto e non credo che la sua opera sia migliorata col tempo». Alberto Papuzzi Lucio Colletti: «Non piaceva la sua interpretazione di Marx e il Pei gli boicottò la carriera accademica» Difensore dell'ortodossia togliattiana negli Anni 50 si scontrò con Bobbio sul rapporto fra politica e cultura Nell'immagine grande Galvano Della Volpe, scomparso nel 1968; qui accanto Lucio Colletti, che fu suo allievo, e Cesare Cases che sostiene: «Come eretico lo difendo, come pensatore non lo stimo» lite» ^

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