Le troppe tribù del Colonnello di Foto Ap

Le troppe tribù del Colonnello Le troppe tribù del Colonnello II dilemma tra libici e occidentali E lo han fatto sia quando stavano in galera (dove Gheddafi li sbatté all'incirca otto anni fa), sia quand'erano a piede libero. Ed affermando i due presunti terroristi d'essere «semplici impiegati a terra» di una compagnia aerea e in quanto tali «nella totale incapacità obiettiva» di pianificare ed eseguire un simile attentato, non si capisce perché, aggiungono gli avvocati difensori, dovrebbero, i due, fare da capri espiatori. Sia come sia, vale a dire colpevoli o non, sta a loro, dico: ai signori (presunti) terroristi: Abdel Basset Ali al Megrahi e Lamen Khalifa Fhimah, decidere se affidarsi, ancorché nella «neutrale» Olanda, a una corte scozzese che, giusta la procedura propria della Scozia, dovrà provare in sede dibattimentale la colpevolezza degli accusati, ovvero rimanersene a casa (sempreché siano ancora in Libia, i due signori), contumaci. Va detto subito, a questo punto, che a noi risulta come il Colonnello voglia (e non da oggi), fortissimamente voglia, consegnare i due presunti terroristi, dei quali non gliene importa niente. (Si dice che li abbia definiti, entrambi, «iene puzzolenti»). Ma senza perdere la faccia. Di fronte al suo popolo (per i giovani egli è tuttora «il» punto di riferimento; e davvero al Quid, la Guida); di fronte a se stesso. Di più: la Libia è il caos organizzato, una versione del maoismo goliardica finché si vuole ma è anche vero che laggiù i Comitati popolari (mille volte disciolti, mille volte risorti) contano. Tanti anni fa, il giorno in cui il Comitato popolare di Bengasi arrestò il Vescovo cattolico Martinelli, qualcuno, da Roma, chiese per telefono a Gheddafi perché mai. Il colonnello sembrò cadere dalle nuvole, affermò di non saperne nulla, avrebbe visto eccetera. Il giorno dopo giunse una telefonata di Jallud, allora potente numero 2 della Jamairhiya: «E' vero, l'hanno arrestato». Che aspettate a liberarlo? «Non è mica così facile» risposte testualmente Jallud. «Il Comitato popolare di Bengasi è duro da maneggiare...». Breve: ci vollero dieci giorni per tirar fuori dalla camera di sicurezza monsignor Martinelli. (Che fu, poi, ricevuto con regolare affettuoso abbraccio, da Gheddafi nella sua tenda. Quella vera, di Taurga, nel deserto della Sirte). Non è tutto: la Jamairhiya libica si regge su un difficile equilibrio tribale abilmente mantenuto da Gheddafi. Ecco: uno degli accusati, Ah al Maghrahi, appartiene alla tribù Magraha, la stessa del maggiore Jallud. Già in disgrazia, ma attualmente in fase di recupero. E' anche vero che Gheddafi sia un uomo capace di rischiare, di mostrare il suo vero volto di implacabile beduino figlio del deserto. E' anche vero che egli debba la sua sopravvivenza fisica e politica (a dispetto di innumerevoli attentati, di golpe, eccetera) più che alla Baraka al fatto di aver sposato una bella e nobile signora appartanente alla potente, intoccabile kabyla del Grande Senusso, e tuttavia nemmeno per lui è facile decidere di consegnare due «jene puzzolenti» in cambio della promessa, piuttosto vaga, in ogni caso non esplicita, di revocare le sanzioni decretate formalmente dall'Onu, in fatto dagli Stati Uniti, contro la Libia «paese terrorista». Ci dicono che Gheddafi abbia fatto «il possibile e l'impossibile» per chiudere la «vertenza Lockerbie» nel modo più diretto: consegnando, cioè, i due presunti colpevoli a un tribunale al di sopra delle parti. Ma qualcosa all'ultimo momento dev'essersi rotto, visto che, alla fine, abbandonato il linguaggio su due livelli, al Qaid abbia chiesto agli Stati Uniti di concedergli «solo un po' di tempo per mettere a punto il trasferimento dei due in Olanda». Lo ha fatto con un passo formale presso l'ambasciata Usa al Cairo, per il tramite del segretario generale della Lega araba. «Gheddafi ha bisogno di chiarimenti», non fanno che ripetere i suoi collaboratori più stretti. Ma il Colonnello non vuole soltanto la garanzia che in cambio delle «jene» cadrà il soffocante embargo che mortifica la Libia oramai da sette anni. Vuole soprattutto capire quante possibilità di successo egh stesso avrebbe se e quando decides¬ se di mettere le manette ai due presunti terroristi per finalmente consegnarli alla Corte dell'Aja. Il metodico ministro Muntasser (che tiene aperto un filo diretto con la Farnesina) afferma di fidare «nel buonsenso» di Washington, di Londra; nella «saggezza» delle Nazioni Unite (oggi dovremmo conoscere la decisione sull'embargo), ma non nasconde le difficoltà dell'impresa. Al Cairo dicono che non convince del tutto la protesta d'innocenza della Libia, del pari non convince del tutto l'iniziativa angloamericana. Gheddafi ha fatto del suo paese il cimitero degli integralisti; la sua scomparsa aprirebbe quasi certamente un vuoto che quelli si affretterebbero a colmare. Sembrava tutto risolto, invece siamo forse soltanto agli antipasti. Igor Man Non gli importa nulla dei due sospettati che a quanto si racconta ha definito «iene puzzolenti» Ma non può perdere la faccia di fronte al suo popolo per il quale è davvero Al Qaid, la guida Il colonnello Muammar Gheddafi A centro pagina gli investigatori esaminano i resti del Boeing 747 Pan-Am, esploso il 26 agosto 1988 sul cielo di Lockerbie, Scozia. Nell'attentato persero la vita 270 persone [foto ap]