Uno Starr nel futuro di Gore di Franco Pantarelli

Uno Starr nel futuro di Gore Il vicepresidente nei guai. Deludente un atteso intervento pubblico di Clinton, che non parla di Sexgate Uno Starr nel futuro di Gore Seconda inchiesta sui fondi elettorali NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Il cerchio attorno ad Albert Gore, il vice di Bill Clinton, ieri si è stretto un pochino di più. Il segretario alla Giustizia Janet Reno ha deciso di aprire un'inchiesta preliminare sul modo in cui il vicepresidente ha partecipato alla raccolta di fondi per la campagna del 1996, al termine della quale (cioè fra 90 giorni) dovrà decidere se ci sono motivi sufficienti per nominare un procuratore speciale e incaricarlo dell'inchiesta vera. Anche nel futuro di Gore, insomma, si prospetta un Kenneth Starr deciso a frugare nei suoi contatti, nelle telefonate che ha fatto, nelle cerimonie cui ha partecipato, non per stabilire se se la facesse con qualche stagista ma per accertare se ha violato la legge sulla raccolta dei fondi. Il suo capo e amico Clinton ha subito detto che Gore non ha fatto «nulla di illegale», e Janet Reno ha già avuto modo di mostrare la sua scarsissima voglia di mettergli alle calcagna un doppione di Starr. Ma che riesca ad evitare la cosa è tutt'altro che scontato. Questa è la seconda «inchiesta dei 90 giorni» che lei decide. La prima si era conclusa con un nulla di fatto, cioè con la decisione che la nomina di un procuratore speciale non era necessaria. Poi però si è saputo che l'inchiesta dell'Fbi era giunta a conclusioni del tutto diverse, che il suo stesso capo Louis Freeh aveva «raccomandato» la nomina del procuratore speciale e, da ultimo, sono spuntate le registrazioni di alcune telefonate fatte da Gore che a quanto pare contraddicono ciò che lui aveva detto, e la signora Reno ha dovuto ripensarci. Le speranze dei repubblicani di arrivare alle elezioni del Duemila con Gore in veste di candidato democratico «dimezzato», dunque, ieri hanno avuto una buona spinta verso l'alto. Ma per ora loro sono concentrati sull'altro «dimezzato», e cioè Bill Clinton. Che ieri ha di nuovo interrotto la vacanza per partecipare a una cerimonia a Boston, e tutti avevano pensato che quella sarebbe stata l'occasione buona per compiere quel secon do «intervento pubblico» sulla vicenda di Monica Lewinsky che secondo molte voci stava progettando. Si sbagliavano. Il Presidente ha parlato di scuola e ha detto cose sacrosante: che è necessario rendere più sicuri gli edifici dedicati allo studio, che c'è bisogno di un maggior numero di insegnanti, che i poliziotti destinati al controllo devono essere addestrati meglio; ma non ha fatto il minimo cenno ai suoi problemi personali, e tanto meno ha accettato di rispondere a domande. Frustrati i giornalisti, ma frustrati anche i parlamentari democratici che vorrebbero da lui | qualcosa che correggesse un po' il tono della «confessione» del 17 agosto, soprattutto la parte in cui Clinton attaccò duramente il procuratore Kenneth Starr. Se- condo loro quella correzione sarebbe molto utile per trattare con i repubblicani quando Starr consegnerà il suo rapporto al Congresso e bisognerà discutere se avviare o no il procedimento di impeachment. Ma i repubblicani - forse intimoriti dai sondaggi che continuano ad essere favorevoli a Clinton - più che alla sua deposizione pensano a una soluzione alternativa: una sorta di «reprimenda» che non avrebbe nessuna conseguenza pratica ma lascerebbe il Presidente con una specie di «ombra» addosso. L'unico precedente storico è del 1834 e riguardò Andrew Jackson, un personaggio che si permise perfino di ignora¬ re le sentenze della Corte Suprema perché tanto non aveva truppe. Oltre tutto, la reprimenda non sarebbe malvista dal «popolo dei sondaggi». In fondo, se n'è uscito uno psicoterapista di nome Jerome Levin in cerca di notorietà (e quindi di più facoltosi clienti), il Presidente non ha fatto altro che vivere la sua «sindrome», che è quella di reagire alle emozioni, all'isolamento e anche alla noia del potere con un'incontenibile voglia sessuale. Per spiegare tutto ciò Levin ha scritto un libro e l'ha intitolato «La sindrome di Clinton». Franco Pantarelli Un gruppo di deputati propone un compromesso: niente impeachment ma una «censura morale» al Capo dello Stato, priva di conseguenze pratiche. C'è un precedente del 1834 contro Andrew Jackson Il presidente statunitense Bill Clinton e, qui accanto, il suo vice Al Gore

Luoghi citati: Boston, New York