L'America ha paura di Franco Pantarelli

L'America ha paura L'America ha paura «E' caduta la certezza politica NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Tanta era la sicurezza che provavano al momento di investire i loro capitali in Russia, tanta è la paura che hanno adesso, vedendo quei soldi svanire nel nulla. Le loro operazioni le avevano compiute non perché la Russia stesse promettendo chissà che, nessuno di loro credeva davvero all'incerto e altalenante «processo riformatore» di Boris Eltsin. Ciò che li aveva indotti a impegnare erano state considerazioni esclusivamente politiche. L'Occidente, dicevano, non permetterà mai il crollo della Russia. Un Paese con oltre 30.000 testate nucleari accatastate nei suoi arsenali non può essere lasciato sprofondare nel caos. Così, quando a giugno il governo russo lanciò un prestito pubblico con un interesse straordinariamente alto, i suoi stessi cittadini (quelli che avevano soldi da investire) lo ignorarono, ina gli americani no. In quell'occasione almeno due miliardi di dollari presero la via di Mosca. Oggi, se uno di quegli investitori vendesse i buoni comprati due mesi fa perderebbe i due terzi del denaro. Perfino gente smaliziata e dal «fiuto» universalmente riconosciuto come George Soros o il Crédit Suisse First Boston si ritrovano adesso a contare le proprie perdite. «Non c'era niente di esplicitamente promesso - dice Floyd Norris, uno dei più ascoltati commentatori di qui - ma tutti davano per scontato che gli investimenti in Russia erano in un certo senso garantiti dalla comunità internazionale. E questo era vero per gli inve¬ stitori privati ma anche per i governi». Adesso, la paura dei privati è che la «certezza» della necessità politica di salvare la Russia non ci sia più. Non perché gli Usa e le altre potenze occidentali non ritengano più tale il pericolo delle testate nucleari che finiscono chissà dove, ma perché nonostante quel pericolo non sembrano in grado di fare ciò che è necessario. Lo si è visto di recente, quando il «pacchetto» messo insieme dal Fmi in favore della Russia è risultato troppo scarso. Nei giorni scorsi, quando il gran parlare del caos russo non aveva ancora investito i baldi operatori di Wall Street (come invece ha fatto ieri in modo clamoroso), si era dibattuto molto sulle capacità americane di «reggere». C'era chi prevedeva il peggio, ma soprattutto c'erano quelli che sostenevano che in una situazione come questa, con tutti gli indici che continuano a risultare migliori delle previsioni meno ottimistiche (tanto per dire: a luglio la vendita di case è aumentata del 4 per cento), l'America avreb¬ be «superato» il problema Russia come - sia pure con qualche incertezza - aveva superato il crollo delle «tigri asiatiche». La discesa della crescita economica (dal 5,5 all'1,4 per cento nei primi tre mesi del 1998) era considerata più una conseguenza dello sciopero alla General Motors che della diminuzione delle esportazioni in Asia. Joel Prakken, che con la sua Macroeconomic Advisers Llc cura gli interessi di tanti investitori e che usa «sondarli» in numero di venti a settimana, solo pochi giorni fa diceva che la maggior parte di loro erano tranquilli e solo una minoranza mostrava di voler prestare ascolto a ciò che diceva Lyle Gramley, ex governatore della Federai Reserve, che parlava dell'arrivo inesorabile di «una nuvola di grande incertezza» e che esortava a «non far finta di non vederla». Ieri quella nuvola hanno avuto modo di vederla tutti e tutti hanno reagito nella sola maniera che conoscono: con una gigantesca irruzione dell'Orso. Franco Pantarelli «Non si può lasciare nel caos un Paese con testate nucleari» Il presidente della Fed, Greenspan

Persone citate: Boris Eltsin, Floyd Norris, George Soros, Greenspan, Lyle Gramley