Russia in ginocchio, Borse al tappeto di Valeria Sacchi

Russia in ginocchio, Borse al tappeto Una sola ondata di vendite da Tokyo a New York. Il rublo in caduta libera Russia in ginocchio, Borse al tappeto Crollo a Wall Street, giovedì choc (-4,4%) a Milano MILANO. La crisi economica e politica della Russia, ormai fuori controllo, gela le Borse dell'intero mondo che, rincorrendosi sui fusi orari, crollano una dopo l'altra come birilli. Dopo un mercoledì pessimo, ecco un giovedì da panico, con Wall Street e tutte le altre piazze in picchiata. Nel segno della globalizzazione il contagio si spande a macchia d'olio, anche se c'è chi spera che il febbrone si attenui. Come è del resto già accaduto nei mesi scorsi dopo il crollo dei mercati asiatici. Ma forse non così presto, almeno non fino a quando la nebbia che avvolge il Cremlino non si sia un po' diradata. In attesa che zio Boris lasci lo scettro, il presidente del Fondo Monetario Michel Camdessus fa sapere che, per il momento, non ci saranno nuovi prestiti a Mosca. Intanto il bollettino della giornata è allarmante. Tokyo, in picchiata, perde oltre il 3 per cento segnando il nuovo minimo dall'agosto del '92, mentre in Australia e Nuova Zelanda le valute continuano a indebolirsi. Mosca, dopo aver chiuso i suoi mercati valutari per l'intera settimana, sprofonda del 13,17 per cento, e le Borse dei Paesi dell'Est cadono all'unisono. Francoforte scende del 4,48 per cento e Wall Street chiude con un crollo del 4,03 per cento a quota 8180, con il Dow Jones che perde 343 punti e oltre mille negli ultimi 40 giorni. Milano brucia 40 mila miliardi e scivola del 4,4 per cento, finendo sotto la soglia dei 22.000 punti. Nel pomeriggio l'America Latina rompe gli argini. Solo Hong Kong, sorretta dalla volontà della Cina di dimostrare la sua «diversità», segna un rialzo superiore all' 1 per cento. Nulla riesce a fermare le correnti di vendita che si abbattono sui circuiti telemati¬ ci, e solo la sospensione delle contrattazioni impedisce, in qualche caso, bilanci peggiori. La fuga è generalizzata, il nero dei listini dirotta consistenti flussi di capitali verso il mercato obbligazionario e verso il marco e il dollaro. I forti acquisti sui titoli di Stato statunitensi fanno toccare nuovi record ai Treasury Bill, il cui rendimento di conseguenza cala. Al Liffe di Londra il contratto future sui Btp decennali chiude al massimo storico di 123,52, in rialzo di 25 centesimi. Il Bund tedesco si spinge a quota 113,95. Gli investitori non sanno più a che santo votarsi, ma intanto alleggeriscono le posizioni convinti, evidentemente, che il trend negativo non sia destinato a esaurirsi in tempi rapidi. E' come se la crisi Russa avesse di nuovo scoperchiato le magagne sopite dei vari Paesi. Il Giappone vacilla incapace di trovare una soluzione ai problemi del settore del credito, in Germania si temono difficiltà per le banche esposte con Mosca, in Sud America rispuntano gli spettri dell'inflazione e i timori di possibili svalutazioni. A San Paolo e a Caracas le perdite superano il 7 per cento, Buenos Aires è in difficiltà, in Messico la Banca centrale impone alle banche commerciali depositi obbligatori. E'un giovedì che non risparmia nessuno e che fa i conti in tasca a tutti. Conti sulle perdite di chi ha finanziato i bond russi, sui quali sono impegnati i grandi fondi di mezzo mondo e molte banche di investimento, un debito che dovrebbe inghiottirsi dai 33 ai 50 miliardi di dollari. Conti su quanto stiano «bruciando» i listini grazie alla gelata che li attanaglia. Conti della paura. Il timore che la Russia, non sapendo a che san- to votarsi, metta mano alla vendita delle sue riserve auree per frenare la caduta del rublo fa precipitare le quotazioni del metallo giallo al minimo degli ultimi diciotto anni: 278 dollari per oncia. E' un pessimismo che non risparmia nessuno. Destinato, comunque vadano le cose, a limare i profitti, a intaccare la fiducia dei risparmiatori, che accomuna mercati forti e mercati deboli nella stessa spirale disfattista. A Milano la campana suona fin dalle prime ore la marcia funebre, le cui note si fanno più tetre dopo l'apertura in ribasso di New York. Perdite del 7-8 per cento fra i titoli guida, e un giro d'affari salito a 3450 miliardi, sono la spia sicura che la pressione ribassista ha coinvolto anche i grandi investitori istituzionali. Perfino Olivetti, che da giorni resisteva impavida in mezzo alle tempeste, ha dovuto rassegnarsi a lasciare sul campo oltre il 5 per cento, non senza aver prima segnato un nuovo massimo a 4445 lire. Non va meglio per le consorelle europee. Francoforte, la più esposta alla crisi dell'Est, penalizza le banche ma anche gruppi industriali come Volkswagen e Daimler. Parigi segna il ribasso più consistente dall'ottobre '92 chiudendo con un salasso del 4,28 per cento, Madrid scende del 5,8% per la debolezza dei titoU bancari: Bilbao e Santander pagano i loro interessi in Sud America con cali del 5 e del 6 per cento. Londra accusa uno scivolone superiore al 3 per cento, Zurigo perde oltre il 5. La crisi è mondiale e Wall Street ha un unico sogno: che Boris Eltsin se ne torni a casa al più presto. Valeria Sacchi Risparmiatori in coda davanti ad una banca di Mosca, una delle poche che ieri erano ancora aperte e accettavano di cambiare rubli in dollari statunitensi

Persone citate: Boris Eltsin, Michel Camdessus