La Versailles di Nerone

La Versailles di Nerone Roma, aprirà fra un anno completamente restaurata la dimora imperiale che affascinò Raffaello e Pinftiricchio La Versailles di Nerone Torna alla luce la Domus Aurea ì| ROMA E grandi finestre e le porte che si aprivano sul laI 1 go, purtroppo, sono da se-*=Jcoli interrate. Così, addentrandosi nel dedalo della Domus Aurea, in restauro in vista dell'apertura al pubblico di qui a un anno, non resta che immaginare la gran luce che invadeva le stanze ricoperte di marmi e affreschi fino al sommo delle volte a botte, e il paesaggio d'incanto che vi si scorgeva: la collina Velia, occupata da un'ala della reggia, le dolci pendici del Cebo, dove sorgeva il tempio del divo Claudio, il Palatino fitto di pini marittimi e cedri e cipressi, alla base del quale svettava una statua di Nerone «Elios» alta 30 metri, in un vestibolo collegato al cuore della villa da un delizioso criptoportico. Intorno allo specchio d'acqua gb edifici formavano tante piccole città. Oltre, a perdita d'occhio, campi coltivati, vigneti, pascoli e foreste abitate da ogni genere di animali. Una sorta di Versailles, un complesso grandioso, un po' come sarà più tardi villa Adriana a Tivob, ma di gran lunga più sfarzoso e scenografico, quello che l'ultimo imperatore della dinastia Giuho-Claudia aveva voluto edificare a sua degna dimora. Collocato, per giunta, suU'Esquilino, ai margini di Roma, intorno al lago che 0 suo successore prosciugò, sfruttandone l'invaso per costruirvi le fondamenta dell'anfiteatro Flavio detto appunto «Colosseo» per via della prossimità di quella statua colossale. Reggia fastosa e sfortunata. Costruita in soli quattro anni, dal 64 al 68 d. C, Nerone l'abitò per soh sei mesi prima di farsi uccidere da un liberto, dopo essere stato dichiarato «nemico pubblico» dal Senato. E Vespasiano, decretata la damnatio memoriae del suo fondatore, iniziò subito a spoliarla degb splendidi arredi e dell'oro e dei marmi preziosi che la rivestivano e che ne avevano fatto un mito già nell'antichità. Finché un provvidenziale incendio la rovinò del tutto nel 104. Quando Traiano l'interrò definitivamente, usandone le solide mura come fondamenta per le sue terme edificate proprio sopra di essa, e ancora visibili. Era così cancellata ogni traccia del tiranno e di quella sua opera megalomane e orientaleggiante e forse anche un po' pacchiana, comunque eccessiva e offensiva per l'aristocrazia senatoria ancora nostalgica del passato repubblicano, al cui ceto appartenevano anche gli storici che del raffinato, filoellenico Nerone ci hanno infatti tramandato un'immagine totalmente negativa. Non il mito. Tanto che nel Rinascimento il Pinturicchio, Giovanni da Udine e altri allievi di Raffaello si calavano in quelle che a Roma erano note come le «grotte dell'Esquilino», e i motivi pittorici ispirati a quegli affreschi verranno chiamati «grottesche». Allora la terra riempiva ancora le stanze alte dodici metri (si cominciò a rimuoverla a fine '800) e fa impressione vedere sulla sommità delle volte le firme di quegli artisti, solo più grandi e più «artisticamente» dipinte di quelle di tanti visitatori odierni comunemente additati come vandali. Li attraeva probabilmente il paesaggio piranesiano. Pareti altissime, fughe di stanze che poi si aprono in tutte le direzioni, immense porte, sormontate spesso da finestre. Il fascino delle rovine al quale si aggiunge il mistero dell'oscurità. I fari dei restauratori aprono squarci di luce sugli affreschi sbiaditi dal tempo, ma l'azzurro egiziano, l'ocra, i gialli, i verdi, il rosso vermiglio ritornano vividi sotto i pennelli dei restauratori. Emergono motivi floreali, riquadri, finestre illusioni¬ stiche dalle quali sporgono figure ritratte col tipico realismo romano, a volte scene e personaggi mitologici, come nella stanza dedicata a Ubsse e Polifemo. Forse le camere più importanti non erano ricoperte tutte d'oro, pietre preziose e madreperla come vuole la leggenda, ma sicuramente erano rivestite per vari metri di marmi greci, egiziani, spagnoli, poi affrescate, e di marmo era anche il pavimento. Che nelle stanze più povere era invece di mosaico, e almeno si è conservato in parte sotto la terra. Mentre perduti sono anche i bagni, dove affluivano le acque del mare e dell'Albula. Elio Paparatti, restauratore capo della so- printendenza e l'architetto Antonio Vodret, danno im senso a quello spazio labirintico. Qui era uno dei due cortili interni o patii, là c'era il ninfeo, lì, oltre quel muro massiccio alzato da Traiano, c'era il grande peristilio, il «portico a tre ordini lungo nulle passi» di cui parla Svetonio. Quando la Domus Aurea aprirà al pubblico, un sistema di illuminazione a effetto e pannelli e tromp l'oeil provvederanno a dare un'idea degli spazi originari. Finché si arriva alla famosa sala da pranzo ottagonale, ed è uno spettacolo da mozzare il fiato. Chissà se il soffitto dell'immensa volta era davvero fatto di tavolette mobili e perforate, per poter spargere sui commensali fiori e profumi, come è ancora Svetonio a narrare, clùssà se il pavimento della stanza girava su se stesso come i ristoranti panoramici dei grattacieli americani di oggi. Gli archeologi non hanno trovato traccia né del marchingegno né di altri materiali, ma confermano la presenza di una cascata nella grande nicchia ancora visibile. In ogni caso l'equilibrio dell'insieme è così perfetto, le proporzioni fra l'altezza e il diametro della volta, sotto la quale si aprono otto porte quasi quadrate sormontate da altrettante finestre, sono tali da comunicare un senso di grande armonia come sanno fare solo i biù begli edifici dell'antichità classica, o del Rinascimento che a quella si ispirava. «Finalmente comincerò ad avere una dimora come si addice a un uomo» avrebbe detto, davanti a tanta meravigliosa opulenza, il decadente Nerone, passato alla storia come un crudele incendario. La cui figura si tende oggi, almeno in parte, a riabilitare. Maria Grazia Bruzzone Ricoperta di marmi e affreschi, collocata in un paesaggio d'incanto sulVEsquilinoJu distrutta da Vespasiano e poi da un incendio; divenne un mito per i pittori del Rinascimento Fastosa e sfortunata: fu costruita in quattro anni e abitata soltanto per sei mesi A sinistra, un affresco della Domus Aurea, in alto la pianta del palazzo, qui accanto Nerone

Luoghi citati: Roma, Udine