«La dolce morte non è più un peccato»

«La dolce morte non è più un peccato» Torino, presentato un documento sulla bioetica: «Esaudire questa richiesta può essere una scelta di vita» «La dolce morte non è più un peccato» Dal Sinodo valdese il primo «sì» all'eutanasia TORRE PELLICE. Per i valdesi eutanasia attiva e suicidio assistito non sono tabù, neppure reato, né tanto meno peccato. Ieri il Sinodo, al suo terzo giorno di lavori, ha accolto un documento sulla bioetica che sarà studiato nei prossimi mesi e che verrà dibattutto alla assemblea del '99. Il documento, sollecitato dalla Tavola Valdese di Roma è stato elaborato da esperti e teologi, i quali affermano che l'individuo, in condizioni particolarmente gravi, ha il diritto di reclamare la morte e il medico che aderisce alla richiesta non cade in alcuna contraddizione: né professionale, né etica. Non è questione da poco perché affrontata all'interno di un consesso ecclesiale di modeste dimensioni, ma pur sempre parte di quella costellazione che raccoglie le chiese protestanti rappresentative di una consistente parte della cristianità mondiale. Una riflessione su ciò che si intende per persona e sulla cognizione del dolore fa da premessa alle conclusioni. Si legge, ad esempio, che «l'etica cristiana e la pastorale devono fornire delle risposte credibili di fronte alla sofferenza e al dolore, devono assumerli fino in fondo, senza divagare, senza proiettarli irresponsabilmente in una dimensione di autoredenzione. La sofferenza ed il dolore non producono salvezza, sono dimensioni dell'esistenza umana da accettare ma anche da combattere, in sé non hanno nulla di positivo». Così come il concetto di «vita sacra» (al quale si richiamano spesso i credenti ma anche i laici) non è che un escamotage per elu¬ dere il problema di fondo. La domanda di eutanasia non va elusa, ma affrontata come richiesta che viene «da una fede viva e consapevole», in quanto, paradossalmente, «accogliere la domanda di morte significa accogliere la domanda della vita, accogliere il diritto di vivere coscientemente la propria morte». Tra l'Alfa e l'Omega corre quel concetto di libertà individuale che va rispettato in ogni momento esistenziale. Quindi, ogni valutazione ha il suo punto di partenza dalla vita non già dalla teologia, e la gestione della propria vita non disgiunta dalla dignità è un riferimento fondamentale dell'etica protestante. Dolore e sofferenza sono parte della vita di ognuno, non già un patrimonio da dare in mano ad altri. Suona così, perfettamente coerente, la domanda: «Con quale autorità spirituale posso contrastare la libertà e la responsabilità di un altro di decidere il tempo della sua morte, quando il vivere è un'umiliazione quotidiana senza speranza?». Da qui la risposta, meglio l'opinione della commissione che ha elaborato il documento: «La vita non può essere considerata un semplice fatto biologico identificabile esclusivamente con l'esistenza: occorre distinguere fra la vita biologica, intesa come semplice sequenza di fatti vege¬ tativi, e la vita biografica, intesa invece come consapevolezza dell'esistere e come somma ed elaborazione di esperienze». Può emergere il sospetto che una volta accettato il principio della non punibilità si possa giungere ad abusi o al diffondersi di una cultura che tenda a sopprimere i deboli. Risponde la commissione: «Il timore di trovarci su un piano sdrucciolevole dovrebbe semmai stimolarci ad elaborare delle regole precise e accettate dalla maggioranza, piuttosto che negare assolutisticamente l'esistenza del problema». Delicata in un contesto del genere risulta la partecipazione del medico: buon Samaritano o complice in un reato? Questa la risposta: «C'è il dovere del medico di fare tutto quanto è in suo potere per rendere degna di questo nome la vita anche nei momenti finali dell'esistenza, accettando di aiutare il suo paziente ad accelerare il trapasso quando tutte le altre armi sono state esaurite». Il medico che si rende disponibile al suicidio assistito o all'eutanasia non cometterebbe un crimine, non violerebbe alcuna legge divina ma «compie un gesto umano, di profondo rispetto, a difesa di quella vita che ha un nome e una storia di relazio- IDENTIKIT DI UNA CONFESSIONE I valdesi sono seguaci di un movimento di riforma religiosa medievale, fondato da Pietro Valdo nel XII secolo, un mercante di Lione che decise di donare i suoi beni ai poveri. Da movimento ereticale, diffuso nella Francia del Sud e nell'Italia del Nord, i valdesi aderirono alla riforma protestante nel 1532, diventando una Chiesa riformata caratterizzata da un forte influsso calvinista. In Italia i valdesi contano oggi circa 30 mila aderenti: nel 1980 si sono integrati con la Chiesa metodista italiana. L'ospedale di Monza Qui lo scorso 22 giugno l'insegnante Ezio Forzatti ha staccato il respiratore che teneva in vita la moglie Elena

Persone citate: Ezio Forzatti, Pietro Valdo

Luoghi citati: Francia Del Sud, Italia, Lione, Roma, Torino, Torre Pellice